Alcuni un po’ opportunisti, dettati più dalle circostanze che dall’amore, vedi Zarate. Altri sinceri, senza grandi aspettative, e forse anche per questo più significativi. Si tratta di Alessandro Nesta, indimenticato capitano biancoceleste che ha salutato la capitale nell’estate del 2002, sull’onda di una scia di polemiche mai del tutto sopite. Il rossonero ha concesso una lunga intervista a Sky in cui ha voluto chiarire molti degli aspetti che lo hanno allontanato dieci anni fa dalla maglia della Lazio, da quella cessione avvenuta l’ultimo giorno di mercato al terribile derby perso 5-1, quando «stordito» dalla tripletta di Montella – poi diventata poker – rimase negli spogliatoi nell’intervallo. «Sono andato via perché la società aveva problemi economici – ha detto – in un giorno vendettero sia me che Crespo. Il mio sogno era di giocare tutta la vita con la stessa maglia, ma non ho avuto nessuna possibilità di scelta. La società mi ha fatto uscire male da quella storia, ero giovane, adesso saprei difendermi meglio, farmi passare per uno che voleva andare via non è stato carino, mi ha ferito». Le modalità della cessione fanno ancora discutere. «Era l’ultimo allenamento prima della chiusura del mercato, venne da me il figlio di Cragnotti e mi disse che dovevo andare al Milan perché c’era bisogno di soldi. Fui catapultato a Milano all’improvviso. Lì incontrai Crespo col quale ero stato fino a poco prima a Formello. Anche lui era stato venduto, all’Inter, per gli stessi motivi. Mi fecero affacciare dal balcone con la nuova maglia, alla conferenza stampa con Galliani avevo una faccia da funerale, perché era così che mi sentivo». Mai Nesta aveva parlato così tanto da laziale. Anche quando si tratta di ripercorrere la giornata più nera in biancoceleste: «In quel derby è stato brovo Montella, ma io proprio non c’ero. Non cerco scuse, ma quella partita è arrivata dopo una settimana difficile, la società in quei giorni mi aveva detto che a fine stagione dovevo andare via, mi avevano praticamente ceduto alla Juventus perché c’era bisogno di soldi, io non volevo andare, ci sono state tensioni. All’intervallo è bastata una scintilla per farmi esplodere, ho mandato tutti a quel paese e sono uscito facendo una stupidaggine. Ero giovane, ho sbagliato, fosse successo ora mi comporterei in maniera diversa». Il resto è un lungo excursus dagli inizi («devo ringraziare Patarca, che da giovanissimo mi portò subito alla Lazio, la società che amavo») ai momenti più belli («lo scudetto resta il massimo, anche per come è arrivato, non ho più vissuto sensazioni simili») agli allenatori («Zoff mi ha fatto esordire, ma ricordo con grande affetto Zeman che mi fece giocare da centrale e decise di puntare forte su di me»). Solo un amarcord o una vera e propria chiamata? Questa la domanda che tormenta i tifosi, che serbano ancora il desiderio di rivedere almeno una volta la maglia numero 13 sulle spalle del vecchio capitano. Nesta è in scadenza con il Milan, su di lui nelle ultime settimane si è fatto forte l’interesse della Juventus. La società biancoceleste non ci ha mai pensato, ma riportarlo a casa – lui non si farebbe certo pregare – sarebbe l’ennesimo modo per riavvicinare l’ambiente. A maggior ragione se la Lazio l’anno prossimo dovesse disputare la Champions. Un difensore della classe e dell’esperienza di Nesta farebbe comodo. Magari per un anno in campo e un futuro dietro la scrivania. Il primo sasso lo ha lanciato proprio il giocatore. Arriverà una risposta da Lotito?
(IL TEMPO)