Deve restare in carcere Federico Gaibotti, il 30enne accusato dell’omicidio del padre a Cavernago, in provincia di Bergamo: lo ha deciso il gip Vito De Vita che, dopo averlo interrogato, nella mattinata di ieri, 7 agosto, ha respinto la richiesta presentata dal suo avvocato di trasferirlo in una comunità terapeutica. Sarà sottoposto, comunque, a una perizia psichiatrica.

Delitto di Cavernago (Bergamo): resta in carcere Federico Gaibotti, accusato dell’omicidio del padre

I fatti risalgono allo scorso venerdì, 4 agosto. Il ragazzo, afflitto da tempo da problemi di tossicodipendenza, si era recato a casa del padre per cercare di recuperare i soldi necessari a risanare un debito che aveva contratto per procurarsi della droga. Quando l’uomo ne era venuto a conoscenza si era alterato e i due avevano iniziato a litigare. Finché la discussione non era degenerata, tanto da spingere il 30enne a recuperare un coltello e a colpire con diversi fendenti (almeno sei, stando ai primi accertamenti) il genitore, in giardino.

Quando i soccorsi erano arrivati, per lui, ormai, non c’era più niente da fare. Per questo Federico è stato arrestato. Davanti ai giudici dovrà rispondere ora all’accusa di omicidio volontario aggravato. Il legale che lo difende, l’avvocata Miriam Asperti, aveva chiesto che, in attesa del giudizio, fosse trasferito in una comunità terapeutica, per disintossicarsi. Richiesta che il gip che ne ha convalidato il fermo, Vito De Vita, ieri, 7 agosto, gli ha negato. Ha chiesto, comunque, di sottoporlo a una perizia psichiatrica.

La ricostruzione del movente

Stando a quanto riporta il Corriere della Sera, rispondendo alle domande del gip, Gaibotti avrebbe chiarito una volta per tutte il movente del delitto, spiegando di essersi presentato dal padre con l’intento di rubargli un iPad e usarlo come merce di scambio per ripagare i suoi debiti (pare di 200 euro) nei confronti della ragazza che lo aveva accompagnato a casa sua e che lo aspettava fuori a bordo di una Bmw.

Una volta conclusa la questione, ha detto, avrebbe voluto uccidersi: per questo, poco prima, aveva comprato un coltello in un negozio gestito da cinesi. Il 64enne, però, l’aveva scoperto, mandando all’aria i suoi piani e spingendolo a compiere il gesto estremo. Si sentiva rinchiuso in una trappola e ora, dietro alle sbarre, continua a ripetere di “non valere più niente”.

A luglio, dopo essere fuggito dalla comunità del Bresciano in cui si trovava, aveva tentato di entrare a casa della madre (i suoi genitori si erano separati) forzatamente. La donna lo aveva denunciato per violazione di domicilio (gli aveva detto che se non avesse accettato di farsi curare non l’avrebbe più accolto in casa propria) e lui era stato condannato a sei mesi, con pena sospesa poiché proprio il padre Umberto aveva offerto 250 euro di risarcimento al militare rimasto ferito dopo essere intervenuto per calmarlo. Da quel giorno aveva promesso a tutti che si sarebbe ripulito, ma, qualche giorno prima dell’omicidio era fuggito di nuovo dalla comunità di cui era ospite.

Ho avuto un momento di cedimento,

ha detto al gip. Nel corso dell’interrogatorio sarebbe scoppiato in lacrime.

È un momento tragico per la nostra comunità. Ciò che è successo venerdì è un evento che scuote gli animi e che pone tantissime domande – aveva dichiarato il sindaco, Giuseppe Togni -. È il momento del silenzio, quel silenzio che si fa ascolto per stare vicino a una famiglia della propria comunità.

In occasione dei funerali, la cui data non è ancora stata resa nota, proclamerà il lutto cittadino.

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