L’omicidio di Iris Setti a Rovereto avrebbe potuto essere evitato. Ne sono convinte le due sorelle del killer, il 37enne di origini nigeriane Chukwuka Nweke, che più volte, in passato, avrebbero chiesto ai carabinieri di fermarlo, evidenziandone la pericolosità. Il loro appello, purtroppo, è rimasto inascoltato.

Omicidio di Iris Setti a Rovereto, il racconto delle sorelle del killer

Due settimane fa lo avevamo detto ai carabinieri, mostrando loro i nostri lividi: se va avanti così nostro fratello prima o poi ucciderà qualcuno. Ci hanno risposto che, finché non avesse davvero ammazzato una persona, loro non potevano farci niente.

Con queste parole una delle sorelle di Chukwuka Nweke – il 37enne senza fissa dimora finito in carcere per l’omicidio di Iris Setti a Rovereto -, ha spiegato al Corriere della Sera come in due avessero provato a mettere in guardia le autorità sulla pericolosità dell’uomo. Il riferimento è a un episodio accaduto appena 15 giorni prima del delitto, quando Chukwuka si sarebbe scagliato violentemente – e senza motivo – contro una delle due.

Non era la prima volta che accadeva.

Sono piombata appena Linda mi ha chiamata, lui era una furia, le era piombato nel palazzo e stava facendo un disastro, d’altronde ormai lo conoscono tutti lì – ha raccontato la donna -. Mentre scendevo a Rovereto (dalla frazione di Toldi di Noriglio, dove vive, ndr) chiamavo tutti i numeri d’emergenza, ho telefonato ai carabinieri ma mi hanno detto che era meglio far arrivare un’ambulanza, allora ho composto il 118.

Al loro arrivo i sanitari avevano immobilizzato l’uomo. E loro, mostrandogli i lividi riportati in seguito a precedenti scontri, avevano provato a farlo ricoverare. Purtroppo senza successo. La loro richiesta di un Trattamento sanitario obbligatorio, un Tso, era rimasta, infatti, inascoltata. Come era accaduto già in passato.

I precedenti e i problemi psicologici

Appena un anno prima dell’omicidio di Rovereto, Chukwuka aveva malmenato un ciclista in strada, aggredendo anche i militari dell’Arma intervenuti per fermarlo. Era finito in carcere, ma ben presto aveva ottenuto i domiciliari con l’obbligo di firma. Dall’Italia non poteva essere espulso, perché, sul territorio, aveva moglie e figli. Sembra che avesse dei problemi psicologici, anche se, stando a quanto ha riferito il sindaco di Rovereto, Francesco Valduga, al Centro di Salute mentale non erano arrivate segnalazioni.

È un uomo malato – ha detto la sorella Oluchi Linda -, abbiamo chiesto in tutti i modi di farlo ricoverare. Minacciava di uccidersi, di fare del male a tutti. Anthonia (l’altra sorella, ndr) ha insistito, ha ottenuto dal giudice solo risposte negative. Ma va ricoverato in una struttura apposita, perché il carcere non va bene per lui.

Se le avessero ascoltate, dicono ora, Iris forse sarebbe ancora viva. Invece è morta, poco dopo il ricovero, dopo essere stata colpita con pugni e calci al viso dall’uomo che, nel tentativo di violentarla o rapinarla (non è chiaro), l’aveva bloccata a terra e aggredita mentre stava raggiungendo la madre anziana per accudirla. Una tragedia annunciata, che ricorda quella consumatasi a Noriglio qualche giorno prima, in cui a perdere la vita era stata Mara Fait, la donna di 63 anni uccisa a colpi di accetta dal vicino di casa davanti agli occhi inermi della madre anziana.

Anche il quel caso l’omicidio – nato dai continui litigi tra vittima e carnefice – avrebbe potuto essere evitato, se, come richiesto dalla donna, fosse stato attivato nei suoi confronti il “codice rosso”. Un appello rimasto inascoltato, come quello delle sorelle del killer di Rovereto.

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