Quella sul salario minimo sta diventando la battaglia per eccellenza, quella su cui le parti politiche si posizionano e risposizionano in convergenza o contrasto con le altre. E si va avanti. Anche perché la maggioranza di centrodestra, votando la richiesta di sospensiva alla Camera dei Deputati, ha rinviato la discussione a dopo l’estate con l’effetto – uguale e contrario – di far partire un altro tipo di discussione: quello che si declina fuori dal palazzo, negli incontri pubblici, nei lanci di agenzia, nelle interviste ai giornali, sui post social. E si va avanti. A suon di dichiarazioni, attacchi, smentite. Anche alle porte di Ferragosto, si va avanti.

La (quasi) apertura del governo

Dal governo non s’è mai fatto mistero della contrarietà alla misura messa in piedi, tramite una proposta di legge a firma di tutte le opposizioni tranne Italia Viva, del salario minimo. Non è cambiato, questo. Ma è cambiato l’approccio: dalla chiusura aprioristica che doveva farsi tramite un emendamento soppressivo presentato – e poi ritirato – agli uffici della Commissione Lavoro, alla quasi discussione in aula, a quella che verrà dopo l’estate. Quando il governo si presenterà alla Camera con una posizione più precisa e magari anche con una politica alternativa per quanto riguarda il problema dei salari.

Compromesso difficile

Una posizione che dovrebbe essere, a scanso di sorprese, negativa. Il governo non aprirà alla proposta di legge delle opposizioni. Era facile immaginarlo già dalle parole della Ministra del Lavoro, Elvira Calderone, che va dicendo “Il salario minimo non si può fare tramite legge”. Parole a cui fanno eco quelle di Luca Ciriani, Ministro per i Rapporti con il Parlamento, che in un’intervista ai microfoni de La Verità parla di un “compromesso difficile”. Le sue parole:

È complicato: troppo distanti le posizioni economiche e culturali. Siamo disposti a ragionare ed ascoltare tutti – assicura il ministro per i Rapporti con il Parlamento – ma la vedo dura raggiungere un compromesso.

“Non soffiare sul fuoco”

Il Ministro Ciriani, poi, si lascia andare ad una critica di metodo alle opposizioni. Colpevoli, secondo lui, di star soffiando sul fuoco di un problema serio – quello dei salari, appunto – alla ricerca di qualche vantaggio elettorale. Le sue parole:

Non temo la piazza, e nessuno deve sentirsi in diritto di soffiare sul fuoco della protesta. C’è qualcuno che spera in qualche vantaggio elettorale da tutto questo.

Vale per il salario minimo ma vale anche per il Reddito di Cittadinanza che il governo Meloni, come sappiamo, sta progressivamente cancellando. Una scelta coerente con il programma elettorale di centrodestra, una scelta che Ciriani giustifica così:

A conti fatti, non ha creato un solo posto di lavoro ed è stato fallimentare sotto ogni punto di vista”, annota il ministro per i Rapporti con il Parlamento rilevando anche che “il suo effetto si è limitato soltanto a garantire una rendita elettorale ai 5 stelle.

Sulla modalità di comunicazione via sms che tanto è stata criticata (i percettori di reddito di cittadinanza sono stati avvisati dell’interruzione della misura tramite sms inviato dall’INPS) ha detto:

Non sarà stata la modalità più consona, ma – osserva – non nascondiamoci dietro a un dito. Chi può lavorare non ha bisogno di andare in piazza, ma trova proprio nel lavoro la dignità e l’affermazione professionale. Le persone bisognose, i veri poveri, i cittadini che lavorare non possono, verranno garantite come e più di prima.