Quasi mille persone, tra cui 150 bambini: uomini, donne, ragazzi soli in attesa di un futuro migliore. Il campo profughi a Pournara, Cipro, accoglie persone di età, nazionalità e storie diverse, arrivate dopo essersi lasciate alle spalle situazioni difficili, spesso dolorose. Anche quest’anno, così come nel 2022, la Comunità di Sant’Egidio ha promosso “l’estate solidale”. Una serie di iniziative che hanno l’obiettivo di intrattenere i più piccoli, ma anche offrire solidarietà e vicinanza a chi è stato costretto a fuggire dalla propria terra.

Roberta Fontanazza, una delle volontarie che ha deciso di trascorrere una settimana della sue ferie estive proprio aiutando i migranti accolti a Cipro, ha raccontato a TAG24 la sua esperienza.

Campo profughi a Cipro, dove le storie si sovrappongono e il tempo è sospeso

Il progetto dell’estate solidale della comunità di sant’Egidio coinvolge tutta Europa: i volontari partono da diversi Paesi, anche se la comunità più numerosa è quella di Roma, sottolinea Roberta Fontanazza, a Cipro per il secondo anno consecutivo. I gruppi si alternano e dal 20 luglio fino a fine agosto e garantiscono una presenza costante all’interno del campo, dove oggi vivono 950 persone. Le attività promosse sono principalmente tre: il Ristorante dell’amicizia, dove i migranti hanno l’opportunità di sedersi a tavola e condividere un pasto espresso; la scuola d’inglese e le scuole della pace, pensate per i più piccoli.

Chi ospita oggi il campo profughi di Pournara?

“Ho avuto modo di vedere com’è cambiata la situazione dall’anno scorso ad oggi. Nell’estate del 2022 c’erano quasi 2000 persone e tante persone provenienti da Nigeria, Somalia, Congo, ma anche Siria e Afghanistan. Quest’anno molti africani non ci sono, perché nei loro confronti vengono attuate delle politiche di respingimento: i migranti ospitati nel campo sono in prevalenza afghani e siriani. In Africa molti Paesi, nonostante situazioni al limite, sono considerati ‘sicuri’: quindi vengono rispediti indietro. Afghanistan e Siria sono invece nazioni considerate a rischio, quindi queste persone restano nel campo aspettando di ottenere lo status di rifugiato. Scappano principalmente dalla guerra. Molti di coloro che arrivano dalla Siria provengono dalle campagne: non parlano inglese, talvolta neanche l’arabo, se non dialetti del posto. Comunicare è difficile.”

Il campo profughi è suddiviso in differenti aree di sicurezza: l’area delle donne sole con bambini, in cui si trovano diverse donne provenienti dall’Africa; l’area degli uomini soli e delle famiglie; e quella dei minori non accompagnati, ragazzini tra 13 e 17 anni che hanno intrapreso questo viaggio senza nessun altro o che hanno perso le proprie famiglie, rimaste in Turchia. E le storie che più l’hanno colpita, sottolinea Roberta Fontanazza, sono proprio quelle narrate da questi ragazzi soli.

Il tempo, nel campo profughi di Cipro, sembra non scorrere mai: non possono fare nulla, essendo in attesa dei documenti. Solo la Comunità di Sant’Egidio dona loro un po’ di sollievo dalla quotidianità. Sono invisibili al resto del mondo.

Molti minori compiono 18 anni e finiscono per strada

Quali sono le storie che più ti hanno colpito?

“Uno dei ragazzi provenienti dalla Siria che abbiamo incontrato non conosceva per niente l’inglese, gli abbiamo chiesto perché. Ci ha spiegato che aveva potuto frequentare solo 7 anni di scuola. L’edificio era stato bombardato. Ma questa non è l’unica storia che mi ha colpito. I minori non accompagnati dopo un po’ vengono spostati in strutture simili a hotel. In questo caso specifico è una residenza in in cui tutti i minori aspettano di compiere 18 anni per poi andare via. La maggior parte di loro però non sa dove: finiscono per strada.

Un giorno siamo andati in questo hotel a Larnaca, con tutte le autorizzazioni del caso, abitato principalmente da  ragazzine somale. Una di loro ci ha raccontato che, quando in Somalia è scoppiata la rivolta, ha perso la sua famiglia: non ha idea di che fine abbiano fatto i suoi genitori. E la vicina di casa le ha pagato il biglietto per partire. Dalla Somalia i ragazzi possono arrivare in Turchia con un visto studentesco, quindi hanno la possibilità di muoversi. Non fanno niente, non possono uscire, non seguono corsi, non hanno nulla se non un telefonino.

Ma c’è una storia a lieto fine che li riguarda?

“Nella struttura a Larnaca abbiamo conosciuto questa ragazza che, durante il pomeriggio, si era messa a studiare tedesco perché la Germania aveva accettato la sua richiesta d’asilo: una volta compiuti 18 anni sarebbe partita. Questa è una storia a lieto fine e di resilienza. Grazie alla sua forza di volontà è andata avanti: e ora tra un mese dovrebbe uscire. Non è per niente semplice però. E’ normale che la depressione ti colpisca in una situazione del genere. Su una parete della struttura c’era scritto: ‘Teach me how to fight- Insegnami come combattere’.”

La vita nel campo

In che condizioni vivono i profughi nel campo?

“I minori non accompagnati vivono in container, fortunatamente con l’aria condizionata, ma per esempio le porte non hanno le maniglie, se devono chiuderle usano una corda. In ogni container ci sono quattro o cinque letti a castello. Dormono su materassi senza lenzuola, spesso spaccati, coperti da cartoni. Sono completamente abbandonati a loro stessi.”

Questa situazione vale anche per gli adulti?

“Sì, anche le famiglie vivono in queste condizioni, però almeno hanno a disposizione delle casette. Penso che la parte peggiore in assoluto sia quella riservata agli uomini soli. Loro vivono in tende fornite dall’Agenzia per i Rifugiati dell’ONU. Certo, i bagni sono all’interno dei container. Ma le condizioni igieniche sono precarie. Non so neanche descriverle”.

Uomini, donne, bambini: nonostante tutto, resistono. Inseguono il sogno di una vita lontana dalla guerra e dalla fame, malgrado la nostalgia per la propria terra. Come dimostra il disegno di un bambino proveniente dall’Iraq, che su un foglio bianco ha raffigurato i suoi ricordi: la sua casa e la macchina del suo papà.

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