Uffiacialmente si chiama “stanza per l’ascolto“, ma è un luogo dove, in realtà, le donne – sotto pressione psicologica – vengono spinte a non abortire: per questo la sala nata da una convezione tra Regione, Città della Salute e federazione del Movimento Pro Vita al Sant’Anna di Torino è stata rinominata “stanza anti-aborto”. E ha scatenato, nelle ultime settimane, la reazione dei movimenti pro-abortisti e femministi, tra cui figurano donne che, in passato, hanno dovuto ricorrervi e ne sono rimaste impressionate. Ecco la testimonianza di una di loro.
Stanza anti-aborto a Torino, la testimonianza di una donna che l’ha provata
Intervistata da Repubblica in occasione del presidio “Distanza da quella stanza”, tenutosi nella giornata di ieri, 4 agosto, a Torino, Luisa Maria Orsi, oggi madre di tre figli, ha ripercorso la sua drammatica esperienza all’interno di una delle cosiddette “sale per l’ascolto”, nate con l’intento – dichiarato – di aiutare le donne che “si sentono costrette a ricorrere all’interruzione di gravidanza per mancanza di aiuti”, ma che, allo stato pratico, vogliono semplicemente spingerle a rinunciare all’aborto.
Due ostetriche mi hanno accolto al triage. Quando ho spiegato che volevo interrompere la gravidanza hanno cambiato tono cercando un sistema per convincermi a ripensarci – ha ricordato la donna -, poi mi hanno fissato un’ecografia. Siccome era molto presto e non si sentiva il cuore, mi proposero di tornare per ascoltarlo, convinte che mi avrebbe fatto capitolare. Fui costretta a puntare i piedi. Mi hanno proposto di sentire il battito anche il giorno del raschiamento, prima di andare sul lettino, l’ho vissuta come una forma di violenza,
ha aggiunto. Quello avuto con le ostetriche, ha spiegato, è stato un “interrogatorio”, più che un “colloquio informativo”, nel corso del quale avrebbero provato in tutti a modi a farla desistere dalla decisione di abortire. Sia mettendole paura, parlandole del rischio di non riuscire più ad avere figli, sia cercando di convincerla della possibilità di dare in affido il nascituro, dopo averlo partorito. Un’esperienza che l’ha toccata e sconvolta nel profondo.
Da allora sono diventata una femminista militante – ha raccontato -. Avevo affrontato la mia decisione con serenità. È diventata un pensiero soltanto perché qualcuno ha voluto farmi la morale.
Come lei, in tante, negli anni, sono state costrette a subìre la stessa sorte. E in tante continueranno a subirla, se stanze del genere saranno ancora supportate.
Le polemiche sulla nuova stanza al Sant’Anna
Non si tratta solo di una questione etica. Oltre ad essere gestite da movimenti che, storicamente, sono anti-abortisti e che quindi, per statuto, remano contro la legge 194, quella che in Italia regola l’interruzione di gravidanza, approvata nel lontano 1978 dopo anni di lotte sociali, sono spesso finanziate da enti pubblici, con i soldi dei cattidini.
Se il Centrodestra volesse davvero aiutare le donne e le loro famiglie – ha evidenziato Sarah Di Sabato, capogruppo regionale del M5S -, dovrebbe fare tutto ciò che non ha fatto in questi anni sul capitolo welfare e sanità: dall’abbattimento delle rette degli asili nidi all’incremento dei servizi per la prima infanzia, dai sostegni all’occupazione femminile agli interventi per garantire la presenza di medici non obiettori nelle strutture sanitarie.
È ciò che hanno urlato a gran voce le oltre 150 persone riunitesi ieri nel capoluogo piemontese per manifestare contro la creazione di queste stanze, vissute a tutti gli effetti come strumenti che limitano il diritto di scelta delle donne. Un diritto che, almeno teoricamente, dovrebbe essere inaleniabile, garantito, e che invece viene minato per motivi ideologici.
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