Secondo i medici che l’hanno visitato, Chris Abom, il 13enne morto dopo essere stato travolto da un’auto a Negrar (Verona), avrebbe potuto salvarsi, se il presunto responsabile si fosse fermato a soccorrerlo. L’uomo, rintracciato nelle scorse ore dai carabinieri, nega, però, di essersi dato alla fuga: stando alla sua versione dei fatti, non avrebbe visto il giovane a terra. Per questo si sarebbe allontanato. È indagato ora a piede libero. Per il padre della vittima avrebbe già dovuto trovarsi in carcere.

Incidente di Negrar (Verona), parla il padre di Chris Abom, il 13enne morto investito

Chris era il primo dei tre figli di Diana ed Emmanuel, arrivati in Italia dal Ghana circa 20 anni fa alla ricerca di un futuro migliore. Nel Veronese, da qualche anno, viveva solo insieme alla madre e ai due fratelli, perché i genitori si erano separati. Il tragico incidente che l’ha strappato alla vita è avvenuto a pochi metri di distanza dall’appartamento in cui vivevano, nella frazione di San Vito, a Negrar.

Suo padre (che ora vive a Carpi), chiamato dopo i fatti, ha fatto giusto in tempo ad arrivare.

È morto mentre lo tenevo tra le mie braccia. Aveva la testa posata sul mio petto,

ha raccontato, commosso, al Corriere della Sera. Sul posto lui e sua moglie sarebbero arrivati solo dopo le 23.30, quando alcuni passanti, avendo visto il giovane agonizzante in strada, avrebbero dato l’allarme. L’investimento, però, sarebbe avvenuto attorno alle 21.50. Se l’uomo alla guida dell’auto che l’ha travolto mentre tornava da una partita di calcio l’avesse soccorso, probabilmente l’adolescente sarebbe ancora tra noi.

Ringraziamo i carabinieri, perché hanno trovato subito l’investitore, anche se non capisco perché sia ancora libero – si chiede, ora, il padre -. In Ghana, per un caso del genere, il responsabile finisce in prigione e non esce più.

La versione dei fatti dell’uomo indagato

Il 39enne fermato per l’incidente, un operaio che – stando a quanto emerso finora – avrebbe alle spalle piccoli precedenti per spaccio e guida in stato di ebrezza, ha raccontato agli inquirenti di non essersi accorto di nulla. C’era lui, però, sull’auto che poco dopo la mezzanotte del 31 luglio scorso ha travolto, uccidendolo, il giovane Chris. Per questo è accusato di omicidio stradale e omissione di soccorso; per questo gli sono stati sequestrati sia la patente che il veicolo (intestato al padre).

È indagato a piede libero perché, come ha spiegato il procuratore di Verona, Bruno Bruni, “non c’era flagranza di reato“. Né ci sarebbe il pericolo di fuga, visto che, dopo l’incidente, è tornato a casa. In un’intervista al Corriere ha dichiarato:

Non sapevo neppure di aver investito una persona. A un certo punto, in quel buio, ho sbattuto contro qualcosa. Pensavo un cartello stradale, perché poco lontano ce n’era uno tutto accartocciato. Ma io il ragazzo non l’ho proprio visto: né prima, né durante, né dopo l’incidente.

Dopo l’urto sarebbe anche sceso dall’auto a controllare, senza vedere niente. Ora, comunque,

di fronte alla morte di un ragazzino che aveva tutto un futuro davanti, la mia esistenza è segnata – dice -. Vivrò nel rimorso, farò per sempre i conti con il senso di colpa.

E presto scriverà anche una lettera ai genitori di Chris, che consegnerà al suo avvocato per fargliela avere: dirà loro che gli dispiace e che non “l’ha fatto apposta”.

Non mangio, non dormo. Non riesco a fare altro che pensare a quel che è successo. Mi ripeto nella testa: era solo un ragazzino! E credetemi, se dico che preferirei essere morto io, al suo posto.

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