Sono stati tutti promossi senza conseguenze di alcun tipo, alla fine, i ragazzi di Latina finiti sotto indagine per stalking e istigazione al suicidio nei confronti di una compagna di classe. Trattandosi di minorenni, è possibile che l’indagine a loro carico venga presto archiviata dalla Procura che se ne sta occupando. La madre della vittima non ci sta e chiede che vengano presi provvedimenti appropriati: non è possibile, dice, che mesi di umiliazioni siano ridotti a un banale “6” in condotta.

Latina, nessun provvedimento nei confronti della classe indagata per stalking e istigazione al suicidio

In 15 erano finiti nel mirino della Procura dei minorenni di Roma per aver bullizzato una compagna di classe. È successo a Latina. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, la vittima, una 13enne, avrebbe sopportato per mesi le vessazioni di 12 ragazzi e 3 ragazze, finendo per ritardare l’ingresso a scuola (con l’obiettivo di evitare di incontrare qualcuno nei corridoi) e peggiorando il suo rendimento.

La denuncia nei confronti dei minori – accusati di stalking e istigazione al suicidio – era stata presentata da sua madre che, venuta a conoscenza di quanto la figlia era costretta a subire, aveva deciso di chiedere dei provvedimenti nei confronti dei bulli. I ragazzi, tutti minorenni, facevano parte di un gruppo Whatsapp – gestito da sei di loro – in cui, di volta in volta, si mettevano d’accordo sulle torture psicologiche da impartire alla giovane.

La chiamavano “Ebola”, si sforzavano a starle lontani. Avevano addirittura inventato dei “giochi” che consistevano nel “passarle accanto senza toccarla”, come se fosse davvero una malattia da cui sfuggire.

Deve togliersi di mezzo,

c’era scritto in uno dei tanti messaggi d’odio che si scambiavano. Nella chat decidevano anche come insultarla, quando e come imitare la sua camminata, esagerandola, con quali nomignoli rivolgersi a lei. Atteggiamenti ingiustificati, di cui la vittima si era accorta e che le erano poi stati confermati da una compagna di classe che, una volta uscita dal gruppo, sentendosi in colpa, aveva deciso di parlarle della sua esistenza, raccontandole tutto. Atteggiamenti che, alla fine, sono rimasti impuniti: tutti i coinvolti sarebbero stati promossi. L’unica “punizione”? Un banale “6” in condotta.

L’inchiesta aperta dalla Procura rischia di essere archiviata

Trattandosi di minori, la Procura che sta lavorando al caso potrebbe anche decidere di archiviare l’inchiesta a loro carico.

A prescindere dall’esito dell’indagine in corso, abbiamo incontrato alunni, famiglie e docenti. Sono stati effettuati interventi con giochi di ruolo, confronti, discussioni sul rispetto reciproco, sulla legalità, che hanno contribuito a migliorare decisamente il clima all’interno della classe – ha dichiarato la Garante per i minori della Regione Lazio, Monica Sansoni -. I ragazzi hanno rielaborato il vissuto, le condotte, riflettuto sulle dinamiche relazionali che appaiono ora fluide, seppur con qualche criticità in capo ad alcuni ragazzi, in particolare circa il timore di ciò che può derivare dal procedimento giudiziario.

Per la madre della vittima non è abbastanza: i giovani dovrebbero essere coinvolti, secondo lei, in un vero e proprio percorso di recupero. Per ora, però, sembra che la volontà non ci sia, neanche da parte dei loro genitori che, secondo il Messaggero, li avrebbero difesi a spada tratta, sostenendo che fosse solo “un gioco”. La vita della vittima, intanto, è cambiata: con il supporto di uno psicologo era riuscita ad evitare di essere spostata in un’altra classe, ma certe umiliazioni non potrà mai dimenticarle. È ciò che in Italia e nel mondo accade sempre più spesso, a causa del bullismo.

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