Quasi una discriminazione togliere il Reddito di Cittadinanza alle 169mila famiglie che hanno ricevuto un SMS dall’Inps. Gazzetta Ladra, trasmissione di Radio Cusano Campus curata e condotta da Fabio Camillacci & Lorenzo Capezzuoli Ranchi ha ospitato la professoressa Chiara Saraceno, sociologa, filosofa, voce autorevole del pensiero sociale italiano, nonché presidente dell’allora comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza che si scaglia criticamente, contro quanto (tanto) promesso e (poco) mantenuto dall’esecutivo Meloni.
Reddito di Cittadinanza, la prof.ssa Saraceno: “Non perfetto, ma prima misura universalistica”
- Professoressa Chiara Saraceno, qual è il suo parere sul reddito di cittadinanza e di come è stata conclusa questa misura?
Il reddito di cittadinanza aveva certamente alcuni difetti di costruzione che infatti la commissione che ho presieduto, ma anche altri, avevano segnalato come meritevoli di correzione. Purtroppo nessuno ha ascoltato quando si poteva ascoltare. Però aveva il grandissimo pregio di essere, per la prima volta in Italia una misura universalistica che non distingueva fra categorie di persone, ma soltanto sulla base del bisogno: definita una soglia sotto alla quale non sarebbe accettabile andare, gli dava la differenza. Non distingueva fra persone con figli o senza. Certo, se la famiglia era grande, doveva ricevere di più; e su questo c’erano dei difetti: una scala di equivalenza molto punitiva nei confronti dei minorenni e delle famiglie numerose per cui era una delle cose da correggere ed escludeva gran parte degli stranieri legalmente residenti. Però il disegno era universalistico esattamente come chiede la raccomandazione europea in merito al Reddito, a un reddito minimo per i poveri. Che dovrebbero ricevere un sostegno per vivere una vita dignitosa. Non in opposizione a politiche attive del lavoro o di inclusione sociale ma in coordinamento, rispettivamente per chi può o non può lavorare.
- Come giudica l’operato del governo Meloni sul tema, anche alla luce delle tante proteste?
La fine del reddito di cittadinanza era parte del programma elettorale del governo, condiviso dalla maggioranza attuale. Nella legge di bilancio 2023 c’era stato l’anticipo che oggi chi ha ricevuto l’SMS del termine del beneficio doveva attendersi, purtroppo. Cioè che dopo sette mesi, coloro che non hanno in famiglia minorenni, disabili o anziani o non sono seguiti dai servizi sociali, perdevano anticipatamente il reddito, senza arrivare nemmeno alla fine dell’anno come tutti gli altri che poi avranno le nuove misure.
- Questo che significa?
Si è introdotto un principio categoriale: si sono divisi i poveri non in base al bisogno ma in base alle caratteristiche della loro famiglia. Che dovrebbero essere rilevate solo per identificare l’entità del bisogno e la qualità (se ci sono minorenni, anziani, disabili). Dal punto di vista del diritto al sostegno, in un Paese democratico e civile, se sono una cinquantenne senza figli e sono povera, perché non devo avere diritto anche io a essere sostenuta, se cerco di darmi da fare ma non riesco a ottenere un lavoro? Qual è la ratio? Si è introdotta questa distinzione che si è abbattuta su coloro che non ricevono più il reddito ma che anche in futuro non potranno accedere ad una misura analoga come l’assegno di inclusione. Perché potranno accedervi soltanto, per un massimo di 12 mesi non ripetibili a un sostegno molto più basso (350 euro) e con una soglia Isee molto più bassa (6mila anziché 9mila e 300 euro). Quindi, i poveri devono essere molto più poveri per ricevere un sostegno molto più basso per un tempo molto più ridotto e non più ripetibile. E devono anche frequentare dei corsi di formazione. Se poi questi corsi sono stati utili a fornire non solo una teorica maggiore occupabilità ma anche una effettiva possibilità di essere occupati con un reddito decente, questo non è rilevante. Non riceveranno più nulla, alla fine del corso, a prescindere dalla loro condizione. Non è degno di un Paese civile. Va benissimo che chi può lavorare sia messo in grado di farlo, ma deve effettivamente avvenire. Non basta dire “datti da fare, mentre ti do un sostegno, il resto son fatti tuoi”. Perché questo è quello che stiamo dicendo: son fatti tuoi.
“Indecente mandare un SMS”
- Professoressa, la conferma della fine del sussidio per 169mila famiglie è arrivato con un SMS. Si poteva fare di meglio?
Vista la gravità della faccenda, e non è detto che tutti i beneficiari fossero consapevoli di quanto sarebbe accaduto -in quanto spesso si tratta di persone che non leggono i giornali e hanno bassissimi livelli di istruzione- sarebbe stata una cosa decente, di minima buona educazione e minima buona prassi amministrativa avvisarli prima e per tempo, forse non con un SMS. Il governo inoltre cosa aveva promesso di fare nella stessa finanziaria in cui aveva confermato la fine del Reddito per queste persone? corsi intensivi, di qualificazione.
- E invece?
E invece non è successo nulla. E queste persone per sette mesi sono state lasciate a loro stesse esattamente come prima. Perché una delle cose che non funzionavano del Reddito di Cittadinanza erano i centri per l’impiego, che sono sottodimensionati, con gente che ancora aspetta di essere ancora chiamata, che poi non ricevevano nessuna offerta. Forse anche perché offerte non ve ne sono. A queste persone, cui sarebbe stato tolto il sussidio, si sarebbe dovuto per lo meno investirli di una grande attenzione, di consulenza e accompagnamento. Invece non è stato fatto nulla. Da una parte il governo ribadisce di aver dato avviso della fine del sussidio, ma non ha dato al contempo impulso ai corsi e alla preparazione per il mondo del lavoro. Il governo, che attua la sua politica non ha fatto quello di cui era responsabile, per l’attuazione di questa politica. L’unica cosa che è stata fatta è stato far decadere i beneficiari. E questo lo trovo altrettanto grave: se ti prendi l’impegno di fare una modifica così radicale, ti prendi almeno la responsabilità di fare la tua parte con corsi, consulenze, avvisi. Nulla di tutto questo. E questo non promette molto bene per il futuro.
- In che senso?
Temo che anche con il nuovo strumento, il sostegno per la formazione e il lavoro, unico sostegno cui avranno diritto queste persone -ovvero 350 euro per un massimo di 12 mesi a patto che vengano seguiti corsi di formazione- servirà solo per seguire dei corsi che non avranno necessariamente utilità pratica, salvo prendere questo sussidio. Questo è l’atteggiamento del governo.
- Può essere il Salario minimo un modo per migliorare il welfare in Italia?
Sicuramente, ma non è sufficiente. Abbiamo bisogno di un salario minimo perché ci sono troppi salari anche contrattuali, e non solo in nero, che sono indecentemente bassi. Servirebbe a bonificare. Non è sufficiente perché parte del lavoro povero dipende non solo dai bassi salari ma anche dalla grande quantità di part time involontario, che è molto cresciuto. Posso anche avere un salario minimo, ma se il mio contratto mi consente poche ore di lavoro – non perché io non voglia lavorare, ma perché poco mi propongono – non se ne esce. Il salario minimo legale è importante per stabilire un minimo di decenza che permetta anche ai più fragili di avere forza contrattuale. Dall’altra parte, la precarietà, il part time involontario rimangono un buco nero. L’Italia è uno dei Paesi dove i lavoratori poveri e le famiglie povere hanno percentuali fra le più alte in Europa. Anche fra le famiglie dei percettori del reddito troviamo solitamente almeno un lavoratore. Oltretutto queste famiglie se non hanno figli minorenni, non potranno prendere il sostegno perché uno dei requisiti è non avere lavoratori al loro interno. Un controsenso.