Sabato 2 agosto 1980 un ordigno esplode nella stazione di Bologna causando 85 morti e centinaia di feriti. L’evento passò alla storia come la Strage di Bologna e nel corso degli anni molto si è discusso. Si è parlato sul come, su chi abbia compiuto il gesto, sui mandanti e sul perché. Tanti anni dopo e tanti processi dopo è uscita una verità. Ma quel giorno, nella sala d’attesa dove venne piazzata la bomba, c’era anche Carlo Dionedi, un giovane di 21 anni che era stato in vacanza al Sud e stava tornando a Piacenza. Per puro caso alle 10.25 era nella stazione Centrale di Bologna. Il suo treno, infatti, aveva accumulato un ritardo di due ore e, mentre aspettava la coincidenza per Piacenza la bomba esplode.
Oggi è un insegnante di francese che ha avviato una scuola paritaria dedicata a papa Giovanni Paolo II e che oggi dirige. Ma quei momenti sono rimasti ben impressi nella mente di Carlo e a Tag24 racconta quello che è successo. Dal punto di vista del sopravvissuto.
Claudio Dionedi, lei era alla stazione di Bologna quel lontano 2 agosto del 1980. Doveva prendere un treno per partire?
R: “Stavo tornando da Taranto e andavo a Piacenza, dove abitavo e abito. A Bologna avevo il cambio di treno, ma quello su cui ero aveva accumulato 2 ore di ritardo. Quindi ero in stazione perché dovevo chiamare a casa per avvertire mia madre e mio padre del ritardo. Ho comprato un giornale e sono andato in sala d’aspetto. E poco dopo c’è stata l’esplosione”.
D: Cosa ricorda dell’esplosione?
R: “Ho sentito una potente scossa elettrica, come se fossi stato fulminato. L’impressione era quella, non ho sentito il boato. Mi sono sentito come prendere dai capelli e venir sbattuto come un bambolotto. Credo di essere volato molto in alto, perché poi mi sono ritrovato sopra le macerie, anzi che sotto come gli altri. Una cosa abbastanza incomprensibile ancora oggi, ma è andata così. Peraltro non ho mai perso conoscenza, ricordo bene gli istanti. Sono instanti in cui avevo l’impressione di rischiare la vita. Dalle macerie sono sceso con le mie gambe, di fatto non avevo nessuna ferita particolare, se non alcune gravi ustioni di cui mi sono accorto dopo. Avevo la pelle che mi cadeva a brandelli e non capivo nemmeno perché.
Strage di Bologna: “Cercai di aiutare un altro sopravvissuto”
D: C’erano altri sopravvissuti lì con lei, nella sala d’aspetto?
R: “Oltre a me, ricordo di un ragazzo sopra le macerie di cui emergeva solo il busto. Ho tentato di tirarlo fuori, ma avendo le mani le mani bruciate non sono riuscito. Ero anche sotto shock. Poi ho visto i tassisti, fuori, che sono morti. Erano addirittura nei taxi. Su uno di questi c’era anche masso”.
D: Si è mai chiesto come sia stato possibile sopravvivere alla bomba?
R: “Umanamente non ci sono risposte, anche parlando con tanta gente. Non è una mia fantasia, il fatto che sia rimasto sopra le macerie è oggettivo. Mi sono dato la risposta nella fede. Il Signore aveva previsto diversamente per me, anche se ero molto vicino alla bomba“.
D: Quanto era vicino? Pochi metri immagino…
R: “Sì, pochi metri. Hanno poi ricostruito la sala d’aspetto come prima e hanno lasciato il cratere. Il punto dov’era l’ordigno è certo e io ricordo bene dov’ero. Proprio al centro. Ero seduto perché volevo leggere il giornale. C’era tantissima gente, quel giorno, era difficile trovare un posto. Avevo visto una signora alzarsi, così mi sono fiondato per sedermi e leggere. Questo probabilmente mi ha salvato, perché tra il mio corpo e la bomba c’erano altre persone in piedi. Probabilmente sono stato salvato da queste persone che mi hanno fatto da scudo. Altrimenti così vicino non si spiega. Io do una spiegazione di fede perché credo che ci sia un disegno in tutto. Possono accadere dei miracoli, anche se io non amo molto questa parola. Diciamo che è un fatto umanamente inspiegabile. Dopo di che uno lo chiama come vuole”.
“Ricordo il famoso orologio che segnava le 10.25. Era quasi alla mia altezza”
D: C’è un particolare che ricorda bene?
R: “Tutto. Il famoso orologio che segnava le 10.25 io lo vedevo quasi alla mia altezza. Ero in alto, essendo sopra le macerie lo vedevo quasi alla mia altezza. Ho anche ben presente il tetto del treno nel primo binario che vedevo dall’alto. Ed essendo sopra, io sentivo le voci delle persone che si trovavano sotto. Questa cosa mi ha portato gli incubi durante la notte dei mesi successivi. Ricordo le persone, di fuori, che hanno assistito dal piazzale, che avevano visto la stazione saltare in aria. Avevano gli occhi allucinati, sbarrati, erano scioccati”.
D: Nei giorni successivi cosa è successo? Ovviamente è stato ricoverato, ma è stato anche interrogato dalle forze dell’ordine?
R: “Si, ma mi hanno chiesto solo se avessi visto qualcosa di particolare. Sono stato anche al processo a Bologna, ma non ho visto niente di sospetto. Non ho potuto dire altro”.
D: Nel corso del tempo si è fatta una idea di quello che è successo e perchè?
R: “Qui ci sono le verità dei processi. Hanno accertato che sono stati questi dei Nar. Mi interessa fin lì. Io non mi sono costituito parte civile. Credo di essere stato l’unico. Il periodo dell’ospedale è come se fossi stato in un convento a fare esercizi spirituali. Per me è stato un lungo ritiro spirituale in cui io ho avuto una esperienza personale di presenza di Dio nella mia vita che mi ha trasformato completamente”.
D: In che modo?
R: “Ho avuto una esperienza forte di fede, che ha rafforzato la mia fede. Ho questo senso di riconoscenza in Dio per avermi dato una seconda vita. Mi sono poi sposato e ho deciso di aprirmi alla vita avendo tutti i figli che Dio mi avrebbe dato. Ne ho avuti 8. Da lì ho rivisto tante cose della mia vita e le ho reindirizzate in un altro modo, rispetto a quello che pensavo a 21 anni. Per cui, tutte le vicende giudiziarie le ho vissute con una certa indifferenza, se così possiamo dire. Non voglio dire totale indifferenza, perché comunque ci sono 85 morti e tanti feriti di cui molti non si sono ripresi ancora oggi. Non so se capita a tutti quelli che sono vittime di questi eventi, ma mantengo come un legame spirituale con i morti, i feriti e i familiari. Mi sento solidale come fossimo una famiglia”.