Sono passati 30 anni dall’omicidio che a Clusone, in provincia di Bergamo, ha strappato alla vita Laura Bigoni. Un omicidio brutale, rimasto irrisolto, ma che potrebbe essere finalmente vicino ad una svolta. Le indagini, infatti, sono state da poco riaperte e gli inquirenti, grazie alla testimonianza di una donna, avrebbero già, tra le mani, il nome del presunto assassino della 23enne.

Omicidio di Laura Bigoni a Clusone: la ricostruzione del delitto, ancora irrisolto

Tutto è iniziato il primo agosto del 1993. Il corpo di Laura Bigoni, 23 anni, fu trovato senza vita dagli zii all’interno di un villino che la famiglia aveva adibito a casa-vacanze a Clusone, in provincia di Bergamo. I due si erano recati sul posto dopo aver notato del fumo provenire dall’abitazione. Al loro arrivo, una volta entrati, avevano trovato la giovane riversa sul materasso, che era stato dato alle fiamme.

Sul suo cadavere c’erano i segni, evidenti, di una morte violenta: quelli che, secondo l’autopsia eseguita dal medico-legale, sarebbero da attribuire alle nove coltellate che l’assassino le avrebbe inferto alla gola e al petto. Il motivo? Non è mai stato ricostruito, così come non è mai stato trovato il colpevole. All’epoca dei fatti a finire nel mirino degli inquirenti fu il fidanzato della vittima, Gian Maria Negri Bevilacqua, detto “Gimmy”: il 23enne fu condannato a 24 anni e finì in carcere, ma era innocente, come si stabilì, tempo dopo, in Appello e in Cassazione.

La riapertura delle indagini nel 2021

Ora si potrebbe finalmente essere vicini ad una svolta. Stando a quanto riportato qualche giorno fa dal quotidiano bergamasco Araberara, le indagini sul caso, infatti, sarebbero state riaperte. La svolta sarebbe arrivata nel 2021, quando, leggendo sui giornali la notizia di un imprenditore milanese arrestato per diversi casi di violenza sessuale, una donna avrebbe ripensato, di colpo, alla storia di Laura, contattando la redazione della testata sopracitata.

Ai cronisti avrebbe spiegato che, all’epoca dei fatti, viveva Milano e frequentava Clusone, proprio come Laura: entrambe erano dipendenti di una ditta di pulizie. Lei, però, si era licenziata, perché un suo collega, rimasto, aveva tentato più volte di violentarla e non era mai stato punito,nonostante le numerose segnalazioni. Che potesse essere coinvolto, in qualche modo, con l’uccisione dell’amica? Non ci aveva mai pensato. Eppure, d’un tratto, le era sembrato tutto chiaro.

Quando io fui aggredita, quel tizio aveva un accendino e una bomboletta – aveva riferito -. Ho letto che l’assassino di Laura aveva tentato di dare fuoco al materasso con una bomboletta, una bomboletta di lacca […]. Lei lavorava negli uffici dove c’era questo tipo. Dopo il mio trasferimento prese il mio posto.

Quest’uomo, “sporco, trasandato”, aveva iniziato a seguirla dappertutto. Ed era pericoloso.

Denunciai all’ufficio personale, denunciai sui giornali e per due anni dovetti chiedere aspettativa non retribuita e cambiare città, per salvare me e mio figlio. Pensa che io ero la settima collega che aveva tentato di violentare sul posto di lavoro, aveva anche quattro rapporti per pedofilia sulle scuole e asili. Era sotto controllo del Sisme ma era libero di fare quello che voleva,

aveva detto ancora la donna, spingendo i redattori del giornale a rivolgersi alle autorità competenti.

Il dettaglio del taxi giallo

Secondo la donna, l’uomo, che a questo punto potrebbe essere l’assassino di Laura, sarebbe ancora vivo e vivrebbe a Milano. In passato, saltuariamente, arrivava a lavoro a bordo del taxi giallo di proprietà del fratello. Un particolare di enorme importanza, visto che alcuni testimoni dichiararono di averne visto uno proprio sotto l’appartamento della vittima, la notte dell’omicidio. Che si stia chiudendo, finalmente, il cerchio?

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