Continuano ad emergere nuovi dettagli sul caso del ragazzo di origini egiziane ucciso dai datori di lavoro a Chiavari, in provincia di Genova. Il 19enne, il cui corpo era stato trovato, smembrato, nelle acque di Santa Margherita Ligure, sarebbe stato assassinato con un punteruolo e fatto a pezzi perché aveva comunicato ai gestori della barberia in cui lavorava di volersi licenziare: avrebbe voluto guadagnare di più, per inviare qualche soldo alla famiglia, che si trova all’estero. Nel piccolo paese che l’aveva accolto, invece, alla fine, si è ritrovato vittima di un efferato delitto.
Ragazzo ucciso dai datori di lavoro a Chiavari: il movente e la ricostruzione del delitto
Mahmoud Sayed Mohamed Abdalla era alla ricerca di un futuro migliore. Per questo, del resto, aveva deciso di venire in Italia, rischiando la propria vita, attraverso il Mediterraneo. Dopo essere cresciuto professionalmente nel negozio in cui lavorava, a Sestri Ponente, aveva quindi deciso di trasferirsi a Pegli, dove, a parità di mansioni, avrebbe ottenuto uno stipendio più alto, che gli avrebbe consentito di aiutare i genitori, rimasti in Egitto.
Lamentava spesso il fatto di stare in piedi molte ore al giorno per lavorare e il fatto che i dipendenti dovessero pagarsi da soli il pranzo. Abdalla diceva di guadagnare soltanto 1.200 euro al mese, motivo per cui avrebbe voluto trovare un altro posto di lavoro più redditizio,
ha raccontato un testimone, stando a quanto viene riportato nel decreto di fermo. Lo aveva già comunicato ai suoi due datori di lavoro, Abdelwahab Ahmed Gamal Kamel, il 27enne conosciuto come “Tito”, e Mohamed Ali Adbdelghani Ali, detto “Bob”, di 26 anni. Sarebbero stati proprio loro ad ucciderlo e a farlo a pezzi, nella notte tra domenica 24 e lunedì 25 luglio: stando a quanto hanno riferito, avevano paura che il giovane, andandosene dalla loro barberia, avrebbe portato con sé i loro clienti.
Così, dopo aver provato a minacciare il titolare dell’altro esercizio commerciale, avrebbero attirato il 19enne in una trappola, dandogli appuntamento nel retrobottega (dove sembra che il giovane vivesse, insieme ad altri dipendenti) e, al culmine di una lite, lo avrebbero colpito con un punteruolo al cuore, al fegato e allo stomaco. Una volta morto, avrebbero caricato il cadavere in una valigia, trasportandolo a Chiavari in taxi.
Qui, su una spiaggia, avrebbero mutilato il corpo con un coltello, tagliandogli testa e mani e gettando tutto in mare, nel tentativo di renderlo irriconoscibile e farla franca. Sperando che la corrente trascinasse tutto via. Proprio con la corrente, invece, i resti del cadavere erano riemersi. Le testimonianze e l’analisi dei filmati delle telecamere di sorveglianza installate nei tanti vicoli genovesi avevano fatto il resto, portando gli inquirenti a loro.
L’analisi delle telecamere di sorveglianza e la confessione
In alcune delle immagini catturate dalle videocamere attorno alle 3 del mattino di lunedì 24 luglio, si vedrebbero i due trascinare due pesanti valigie: valigie che, al ritorno, appaiono visibilmente più leggere. Sono le stesse in cui, secondo il loro racconto, avrebbero nascosto il corpo della vittima, per trasportarla in spiaggia.
Davanti ai magistrati dovranno rispondere ora all’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi. Entrambi, nel corso del lungo interrogatorio tenutosi nelle scorse ore davanti al gip, hanno confessato il delitto. Per quanto riguarda la soppressione del cadavere, invece, si sono accusati a vicenda.
Sconvolta, intanto, la comunità locale, da cui il 19enne era stato accolto con gioia. Nessuno riesce a spiegarsi come si possa arrivare a tanto.