Nato a Misilmeri, in Sicilia, nel 1925, è stato uno dei giudici più autorevoli nella lotta contro Cosa Nostra, insieme ai colleghi Falcone e Borsellino; per questo, il 29 luglio di 40 anni fa, fu ucciso in un attentato a Palermo: chi era Rocco Chinnici e perché oggi viene ricordato.
Chi era Rocco Chinnici, il giudice ucciso dalla mafia 40 anni fa
Questa è una giornata molto significativa, perché dimostra che a 40 anni dalla morte di mio padre il Paese non dimentica […]. In un momento drammatico per l’Italia comprese che per contrastare il fenomeno mafioso, sempre più potente ed eversivo, servivano giudici specializzati. Così nacque l’embrione del pool antimafia che poi portò avanti i processi.
Con queste parole il figlio di Rocco Chinnici, Giovanni, ha dato il via al seminario “Memoria e continuità: il lavoro di Rocco Chinnici” organizzato questa mattina a Palermo in occasione del 40esimo anniversario della sua uccisione. Per l’occasione era presente presso il Palazzo di Giustizia del capoluogo siciliano anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Si tratta di un evento pensato per ricordare il lavoro del giudice, tra i più autorevoli nella lotta contro Cosa Nostra. Un percorso perseguito con dedizione per lungo tempo, fin da giovanissimo. Nato nel 1925 in un piccolo paese alle porte di Palermo, vinse il concorso per entrare in magistratura nel 1952, dopo aver compiuto studi giurisprudienzali all’università.
Come giudice della Pretura di Partanna lavorò solo a piccoli casi. Ma ben presto divenne un punto di riferimento negli ambienti dei Tribunali e, poco dopo, iniziò ad occuparsi dei casi di mafia. Erano gli anni delle prime stragi. Chinnici ebbe l’intuizione che avrebbe cambiato per sempre le sorti delle organizzazioni criminali del tempo, di cui Cosa Nostra: istituì, nel suo ufficio, quello che avrebbe poi preso il nome di “Pool antimafia”.
Accanto a sé chiamò anche Falcone e Borsellino. Insieme gettarono le basi per le prime indagini che portarono ai processi degli anni ’80 e, più avanti, al famoso maxi-processo.
L’attentato del 29 luglio 1983
Diventato ormai una figura “scomoda”, Chinnici venne ucciso da Cosa Nostra nel corso di un attentato consumatosi il 29 luglio 1983. Erano le 8 del mattino di una calda giornata d’estate quando il giudice, appena uscito dalla sua abitazione di via Giuseppe Pipitone Federico, a Palermo, morì sul colpo a causa dell’esplosione provocata dal tritolo con cui era stata imbottita la sua auto di servizio, una Fiat 126.
A perdere la vita, oltre al magistrato, furono tre persone: due uomini della scorta, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile in cui il “bersaglio viveva”, Stefano Li Sacchi. Sopravvisse solo l’autista, Giovanni Paparcuri, che però riportò gravi ferite. Fu un boss di Resuttana, Antonino Madonia, a telecomandare lo scoppio: si era nascosto in un camion a pochi passi dall’auto presa di mira.
Nel 2002 la Corte d’Assise di Caltanissetta, dopo un iter processuale durato quasi vent’anni, condannò all’ergastolo come mandanti dell’omicidio i vertici mafiosi dell’organizzazione coinvolta, tra cui Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, per un totale di 10 persone, e come esecutori materiali, oltre a Madonia, 7 persone.
Né la generale disattenzione né la pericolosa e diffusa tentazione alla convivenza col fenomeno mafioso – spesso confinante con la collusione – scoraggiarono mai quest’uomo, che aveva, come una volta mi disse, la ‘religione del lavoro’,
disse Borsellino poco dopo la sua morte. Ancora oggi Chinnici rappresenta per tutti un esempio di impegno.
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