L’articolo 33 della Legge 104 del 1992 stabilisce che i lavoratori disabili gravi, e i loro familiari assistenti, hanno diritto a dei permessi retribuiti dal lavoro, i cosiddetti permessi retribuiti 104. Questi permessi possono essere richiesti per un massimo di tre giorni al mese (sia continuativi che frazionati) o due ore al giorno. Questi permessi sono estesi anche ai genitori (biologici, adottivi o affidatari) di figli disabili gravi fino a 12 anni, che possono anche usufruire di una proroga del congedo parentale. Durante il periodo di assenza, i beneficiari hanno diritto alla retribuzione ordinaria e al versamento dei contributi figurativi, essenziali per determinare sia il diritto alla pensione che l’importo della stessa. Tuttavia, è necessario che la persona disabile non sia ricoverata a tempo pieno in una struttura a carico dello Stato.

Permessi retribuiti 104 anche ai lavorati parasubordinati: la sentenza del Tribunale di Torino

Una sentenza storica del Tribunale del lavoro di Torino ha portato ad una notevole estensione dei beneficiari dei permessi 104, includendo non solo i lavoratori dipendenti, ma anche i lavoratori autonomi, i professionisti e i collaboratori parasubordinati. Questa decisione, scaturita dalla sentenza n. 637 del 2023, si basa sull’applicazione della normativa e della giurisprudenza comunitaria che proibisce qualsiasi forma di discriminazione, sia diretta che indiretta, a prescindere dalla forma giuridica del lavoro svolto.

In base a questo principio, i datori di lavoro devono garantire ai loro dipendenti con disabilità il diritto di usufruire dei permessi legge 104 e di qualsiasi altro accomodamento ragionevole necessario per bilanciare la maggior fatica che le persone con handicap devono affrontare sia nella vita lavorativa che extra lavorativa.

Il caso del lavoratore autonomo

Il caso al centro della sentenza del Tribunale di Torino riguarda un lavoratore autonomo, più precisamente un professionista convenzionato con il Sistema Sanitario Nazionale (SSN), che aveva chiesto di poter usufruire di permessi simili a quelli stabiliti dalla Legge 104/1992. Questa possibilità era infatti prevista dalla contrattazione collettiva di settore.

Tuttavia, l’ASL, come datrice di lavoro, aveva respinto tale richiesta, motivando il rifiuto con l’assenza di una previsione normativa anteriore al 2020. Di fronte a questo rifiuto, il professionista aveva denunciato un trattamento discriminatorio.

Il verdetto del Tribunale di Torino sui permessi retribuiti 104 anche ai lavoratori autonomi

Il Tribunale del lavoro di Torino, pur in assenza di una specifica previsione contrattuale, ha dato ragione al professionista. I giudici hanno stabilito che il mancato riconoscimento dei permessi, dal 2010 al 2020, costituisce una violazione del principio di parità di trattamento dei lavoratori, come previsto dall’articolo 2 della Direttiva 2000/78/CE, e rappresenta una forma di discriminazione indiretta.

In particolare, l’art. 2 comma 2b della Direttiva esplicita che:

Sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale.

Secondo il giudice del lavoro, l’istituto dei permessi legge 104 nasce dalla considerazione che una persona con disabilità affronta una maggiore fatica nella sua vita lavorativa ed extra lavorativa e, quindi, necessita di un maggior tempo di riposo dal lavoro rispetto alle persone prive di disabilità.

Questa decisione rappresenta un importante passo avanti nel campo dei diritti dei lavoratori disabili, estendendo i benefici della legge 104 a categorie di lavoratori precedentemente escluse. Il riconoscimento dei permessi legge 104 ai lavoratori autonomi, ai professionisti e ai collaboratori parasubordinati rappresenta quindi un significativo ampliamento della protezione sociale, in linea con il principio di non discriminazione garantito dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria.