Sono finiti in carcere, a 19 anni dai fatti, i due presunti esecutori materiali dell’omicidio di Gelsomina Verde a Scampia. La ragazza, 21enne, fu uccisa a colpi di pistola dopo essere stata sequestrata e seviziata nell’ambito della prima faida di camorra, nel 2004. Per la sua morte sono già finite in carcere altre due persone: Pietro Esposito e Ugo De Lucia.
Arrestati i presunti esecutori materiali dell’omicidio di Gelsomina Verde
Si chiamano Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, i due camorristi finiti in manette nelle scorse ore per aver preso parte all’omicidio che, nel lontano 2004, portò alla morte della 21enne Gelsomina Verde. La ragazza, totalmente estranea agli ambienti criminali, lavorava come operaia in una fabbrica di pelletteria: fu sequestrata, torturata e uccisa a colpi di pistola per la sola colpa di aver frequentato, per un breve periodo di tempo, Gennaro Notturno, poi entrato a far parte dei cosiddetti “scissionisti” Amato Pagano, i rivali del clan Di Lauro nella prima faida di camorra.
Il primo è stato raggiunto dagli agenti della polizia a Massa Carrara, dove si trovava già agli arresti domiciliari; il secondo a Castel Volturno, in provincia di Caserta. Per gli inquirenti, sono da considerarsi gli esecutori materiali dell’omicidio. I loro nomi vanno ad aggiungersi, quindi, a quelli degli altri due fermati per il delitto: Pietro Esposito, condannato per aver accompagnato la giovane all’appuntamento con i suoi assassini, e Ugo De Lucia, ideatore del piano, presente al momento dei fatti.
Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, i camorristi avrebbero sparato alla vittima tre colpi alla testa; poi avrebbero adagiato il suo corpo nella sua auto – dove venne ritrovato -, dando tutto alle fiamme, forse nel tentativo di eliminare le tracce delle sevizie a cui, per ore, sarebbe stata sottoposta. Ad incastrarli sarebbero state le dichiarazioni rilasciate da alcuni collaboratori di giustizia. A riportarlo è l’Ansa.
La svolta dopo anni di indagini e battaglie
Con l’arresto di De Lucia e Rinaldi si chiude, finalmente, il cerchio sull’omicidio, che per anni ha visto impegnata la famiglia della vittima alla ricerca di verità e giustizia. Un omicidio che, all’epoca dei fatti, sconvolse molti, obbligando tutti a una riflessione sul ruolo della criminalità organizzata in luoghi particolarmente critici, come Scampia.
Dopo quel delitto atroce le coscienze si sono svegliate e le associazioni con il benestare della gente si sono fatte sentire,
aveva spiegato il fratello di Gelsomina in un’intervista al Riformista, sostenendo che le istituzioni non avessero mai fatto abbastanza per migliorare la situazione.
Lo Stato è assolutamente assente. Tante persone si avvicinano alla criminalità organizzata proprio perché lo Stato non offre alternative. Le associazioni fanno moltissimo nei territori difficili ma non riescono a offrire ai ragazzi sbocchi lavorativi,
aveva detto. Un’assenza da cui, secondo lui, nascerebbe l’omertà di coloro che non si sentono protetti e quindi tengono la bocca chiusa di fronte alle ingiustizie. Oggi, dopo anni di indagini e battaglie, il caso dell’omicidio di sua sorella si avvia ad una conclusione. Ma più volte, in passato, l’uomo si è ritrovato faccia a faccia con persone coinvolte nel delitto.
Non provo più rabbia. Non so se si può definire perdono. Tanti li ho incontrati per caso e mi ci sono scontrato. Mica lo Stato si preoccupa del fatto che io possa incontrarli ogni giorno, non gli frega nulla. Domani ne ammazzeranno un altro e tutti gli altri verranno dimenticati. Mia sorella è morta nel 2004 e solo nel 2011 è stata ricordata per la prima volta, questo deve far riflettere.
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