I treni sono agli onori della cronaca per il racconto di uno scrittore in viaggio con un gruppo di “lanzichenecchi” e nel dibattito giornalistico spuntano i pro e i contro le esternazioni di Alain Elkann. Per qualche ora, insomma, non si parla dei treni in ritardo e delle carrozze superaffollate e neppure della pessima accoglienza dei viaggiatori costretti a sedersi sul pavimento delle stazioni in attesa della partenza. Ma, discorrendo di mezzi di trasporto, ho pensato a che cosa sarebbe questo nostro amato paese senza l’Alta Velocità.

Eppure, l’inventore di questa infrastruttura, Lorenzo Necci, morto il 28 maggio del 2006 travolto da un’auto mentre andava in bicicletta, invece di essere osannato per quello che aveva fatto, ha subìto decine di processi da cui, peraltro, è stato assolto. Era un visionario. Diceva: “Roma non sarebbe stata concepibile come impero del Mediterraneo e dell’Occidente senza le strade, i porti, la moneta, il sistema legislativo e giuridico. La costruzione di una civilizzazione si basa sulle proprie infrastrutture. Sia la creazione del “valore” che la creazione dei “valori” dipende in larga parte da infrastrutture efficienti, adeguate e adattabili”. 

Il visionario che ideò l’Alta Velocità

Scrisse questo pensiero nel libro “Il Terzo Millennio” e nel sito internet della Fondazione Lorenzo Necci viene ricordato che “nella sua concezione della storia, le infrastrutture, materiali o immateriali, costituiscono il collante di ogni civiltà. Sono le fondamenta della società, su cui poi altre strutture, economiche, sociali, commerciali, civili e culturali si innesteranno. Per loro natura sono stabili e durevoli, perché devono sopravvivere alle istituzioni e agli uomini che le hanno realizzate. Il loro fine è di servire la collettività più che l’individuo, creare legami che sono alla base dell’interazione fra gli uomini. Condizionano il futuro, mentre servono il presente. Le infrastrutture materiali, in particolare, sono la base, la condizione e spesso il limite dello sviluppo”. E, tra un lanzichenecco e un ritardo, riflettiamoci.

Stefano Bisi