“Devo proprio?” Il giornalista del “Corriere della Sera” Marco Bonarrigo vorrebbe soltanto godersi le ferie quando Tag24 lo raggiunge per parlare del caso Schwazer. Quest’ultimo inteso sia come vicenda giudiziaria che come il documentario-serie tv su Netflix. Ve ne abbiamo già parlato qui, presentando il piano che il controverso marciatore e il suo entourage hanno messo in campo per un clamoroso, per alcuni fantascientifico (ma possibile…) ritorno dell’atleta.

Il caso Schwazer continua a tenere banco. Il marciatore ha già pronto il piano, ma nel frattempo c’è un Paese (incredibilmente) spaccato.

Ma nel frattempo il caso Schwazer (inteso esclusivamente come vicenda umana e sportiva intorno ad Alex Schwazer) continua a spaccare l’Italia. Lo stesso Bonarrigo, tra gli intervistati nella docuserie, anche ironicamente “denuncia”: “Da qualcuno sono stato già tacciato di essere tra gli anti-Schwazer”. Scherzi a parte aggiunge: “Personalmente ritengo che non esista nessun altro approccio possibile nella trattazione di quanto accaduto se non quello scientifico e giuridico. In tutti gli altri casi si rischia di partire per la tangente“.

E ancora: “Giustizia sportiva e ordinaria si ispirano a criteri diversi e devono raggiungere un grado di prova differente: oltre ogni ragionevole dubbio in sede penale, con grado di colpevolezza superiore a quello di innocenza in sede sportiva. In Italia, uno dei pochi Paesi dove il doping è reato penale, il 90% dei condannati in sede sportiva (dove una positività analitica è ragione sufficiente) viene assolto in sede penale, quando non ci siano confessione o evidenze investigative. Ecco perché il mancato rinvio a giudizio non mi sorprende, anzi era quasi scontato visto che non c’è stata nessuna confessione e non ci sono elementi investigativi di colpevolezza come invece nel 2012. Abbiamo due verità giuridiche e resteremo con queste”.

Marco Bonarrigo: “L’unico approccio possibile è quello scientifico e giuridico. Abbiamo due verità e resteremo con queste”.

Capita comunque di venire inseriti in questo o quell’altro compartimento, tra i complottisti (che ritengono cioè il marciatore vittima della più clamorosa ingiustizia in materia di doping mai perpetrata ai danni di un atleta) e gli scettici sul tema. E in quest’ultima categoria, diciamolo subito, è facile essere inseriti e in seguito criticati. Tutto ciò sebbene lo scorso 25 marzo la Procura di Bolzano abbia archiviato l’indagine sulla presunta manipolazione delle prove. Dunque scrivendo la parola “Fine”.

Che poi è la stessa Procura di Bolzano che due anni fa aveva archiviato la posizione del marciatore altoatesino per “non aver commesso il fatto” e parlato di “un alto grado di probabilità” che le provette del test a sorpresa del 1° gennaio 2016 fossero state appunto manipolate.

Il 25 marzo, la Procura di Bolzano ha messo una pietra tombale sull’indagine sul complotto, ma complottisti e anti-complottisti continuano ad accapigliarsi.

Complottisti e anti-complottisti continuano ad accapigliarsi al grido di “Ma tu hai letto il documento tal dei tali?”, “E tu? Hai visto la sentenza ecc. ecc.?”. Negli anni, invece, sono stati tanti gli atleti finiti nell’occhio del ciclone. Da Gianmarco Tamberi – che il 28 aprile 2016 e con Schwazer impelagato nella seconda squalifica per doping aveva scritto sui social “Vergogna d’Italia, squalificatelo a vita. La nostra forza è essere puliti! Noi non lo vogliamo in Nazionale!” – a Federica Pellegrini, che nella serie compare soltanto con la seguente frase:

Io sono per la radiazione a vita e penso che siano molti atleti d’accordo con me oggi.

Sempre nel 2016 Tamberi parlò poi di seconda squalifica giusta, dovendo poi subire i durissimi attacchi dai social. E non è più tornato sull’argomento. Di recente, invece, lo stesso Schwazer su Federica Pellegrini ha detto al “Corriere del Trentino”:

Non per difenderla, ma per correttezza bisogna dire che quella frase l’aveva pronunciata dopo il caso doping che mi aveva effettivamente riguardato nel 2012.

Complottisti e anti-complottisti però sono sempre lì. E in mezzo c’è un uomo. In un contesto in cui è facile dare addosso all’altro, però, forse sarebbe stato meglio non dare in pasto all’opinione pubblica questo o quel personaggio, questo o quello sportivo, questo o quel cronista (non opinionista) del caso Schwazer.

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