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Omicidio Antonella Di Veroli: quattro elementi per far emergere la verità. La sorella lancia l’appello al possibile complice: “Spero nel rimorso” | VIDEO ESCLUSIVE

Era la notte del 10 aprile 1994. Antonella è una donna di quarantasette anni che, dopo aver passato una giornata in compagnia di un’amica, torna a casa. Sono circa le 22 e telefona alla madre. Poi il buio. Antonella il giorno successivo non si presenta a lavoro. La sera stessa la sorella Carla, accompagnata dal marito e dal socio di Antonella Umberto Nardinocchi, va una prima volta a casa della vittima, senza però ritrovarla. Solo il giorno dopo, quando torneranno stavolta accompagnati da un amico poliziotto del Nardinocchi, scoprono il cadavere. Quest’ultimo era nascosto nell’armadio sigillato appositamente dal del mastice per parquet. Antonella è senza vita, morta per asfissia dopo aver ricevuto due colpi di pistola in testa.

Oggi, a distanza di quasi 30 anni, il caso ancora irrisolto. Due giornalisti hanno quindi deciso di riprendere in mano la vicenda, facendo emergere nuovi dettagli che potrebbero portare alla riapertura delle indagini. Si tratta di Flavio Maria Tassotti, del Cusano Media Group, e di Diletta Riccelli. I due stanno infatti provando a fare chiarezza su questo triste episodio di cronaca nera romana, grazie anche al supporto della famiglia della vittima – e nello specifico della sorella Carla – e dell’onorevole Stefania Ascari. Proprio la deputata, in quota Cinquestelle, oggi ha moderato l’incontro avvenuto nella sala stampa della Camera dei Deputati in cui erano presenti Tassotti, Riccelli e Carla Di Veroli, organizzato per mettere in luce quattro elementi specifici.

Omicidio Antonella Di Veroli, ecco i quattro elementi raccolti da Tassotti e Riccelli che potrebbero riaprire il caso

Due anni di lavoro, quello di Tassotti e Riccelli, tra gli archivi dei tribunali e gli atti della Procura. Una ricerca che ha permesso di mettere in luce ben quattro elementi che potrebbero portare alla riapertura del caso.

Innanzitutto, il primo punto: una chiamata partita dalla casa della vittima all’1:30 di notte verso una compagnia di taxi della città. Nella prima fase di indagine, infatti, i tassisti non furono mai ascoltati dagli inquirenti. La cosa, apparentemente sorprendente, se fatta oggi potrebbe ancora portare alla luce nuove indicazioni fondamentali.

Il secondo punto riguarda invece un collare ortopedico visto indossare alla Di Veroli circa un mese prima dell’omicidio. Insieme ad altre testimonianze, sembrerebbe essere una prova che la donna fosse stata già vittima di violenze da parte di una persona a lei vicina. A questo si aggiunge anche il fatto che sembrerebbe quasi certo che Antonella, la notte del misfatto, abbia aperto la porta di casa di sua spontanea volontà.

Tanti dubbi anche per quanto riguarda il test dello stub, il guanto di paraffina che nell’occasione venne eseguito da un carabiniere alla sua prima esperienza a riguardo. Un dato all’apparenza innocuo, ma che invece si è trasformato in un disastro vero e proprio quando, come appurato in secondo grado di giudizio. I test, effettuati sui due maggiori indiziati – il già citato socio Nardacchione e l’ex compagno della Di Veroli Vittorio Biffanisono stati scambiati, rendendo di fatti impossibile l’identificazione del positivo all’esame.

Infine, l’ultimo grande dubbio rimane sul bossolo della pistola. L’arma del delitto, che non è mai stata ritrovata, è stato però appurato essere una calibro 6,35 millimetri, corrispondente a una pistola da taschino, racchiudibile nel palmo di una mano, molto spesso utilizzata da collezione. Le sue munizioni risultavano già all’epoca quasi introvabili in Italia, mentre era possibile reperirle in Svizzera. E proprio in Svizzera era stata l’anno precedente la Di Veroli, in compagnia di una sua stretta conoscenza, probabilmente legata al caso. In altre circostanze, attraverso appositi test è sempre stato possibile ritrovare l’impronta dell’omicida sul bossolo, prova che risolverebbe definitivamente il caso.

Omicidio di Antonella Di Veroli, la sorella Carla: “Mi chiedo solo perché tanta cattiveria”. E poi lancia l’appello al possibile complice: “Spero lo colpisca il rimorso”

Dopo aver ascoltato questi elementi tanto importanti, la conferenza stampa si è infine chiusa con l’ennesima richiesta della famiglia, dei giornalisti coinvolti, e dell’onorevole Ascari, di aprire un dialogo costruttivo con la Procura di Roma. Una collaborazione che, invece, finora è stata sempre negata.

Proprio la deputata 5Stelle, ai nostri microfoni, ha spiegato così il suo coinvolgimento alla causa: “Dovere. Dovere nei confronti di una donna vittima di violenza e della sua famiglia che cerca ancora giustizia. Nello specifico, secondo Ascari il lavoro di Tassotti e Riccelli “potrebbe portare direttamente alla scoperta del vero colpevole dell’omicidio”. E in questo quadro, allora, quello che la politica può fare è quindi “riportare l’attenzione sul caso e indirizzare la Procura di Roma nel chiedere la riapertura del fascicolo”.

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Subito dopo abbiamo ascoltato anche una delle autrici dell’inchiesta, Diletta Riccelli, che ci ha spiegato la motivazione che l’ha spinta a riaccendere i fari su questo delitto: “A distanza di trent’anni ci sembrava impossibile che non fosse stata data la giusta importanza sul caso”. La giornalista ci ha poi tenuto a spiegare così il lavoro svolto finora: “Io e Flavio abbiamo solo cercato di far luce su tutte le lacune che c’erano a livello investigativo.

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A chiudere però la conferenza è stata la sorella della vittima, Carla. Da lei, inevitabilmente, le parole più emozionanti: “Io ho sempre sperato si possa arrivare a una soluzione”. E poi aggiunge un elemento in più, estremamente importante: “Come ho già detto, io non credo che la persona che ha ucciso mia sorella abbia agito da sola. Mi auguro, allora, che chi l’ha aiutato – che oggi sarà ormai una persona adulta – abbia un momento di rimorso e faccia uscire fuori la verità“. Infine, Carla ha un’ultima, dolorosa domanda: “Vorrei capire solo perché tanta cattiveria”.

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Parole importanti, quelle della sorella, che ben chiariscono quanti ancora siano gli elementi aperti su questo caso. L’unico augurio allora che possiamo avanzare è che la Procura ascolti finalmente gli appelli della famiglia, dei giornalisti coinvolti, della politica, e riapra infine il fascicolo Di Veroli.
Solo in questo modo potremo realmente dare una risposta definitiva a un delitto avvenuto ormai quasi trent’anni fa, la cui risoluzione potrebbe mettere la parola fine a tanta sofferenza e inquietudine.

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