Calcio femminile, Antonio Piazzolla – Il calcio femminile ha radici molto più profonde e ai più questo è ignaro. Il calcio giocato dal gentil sesso sin dalla tenera età fino a quella adulta oggi è una splendida realtà affermata che però non ancora trova la giusta dimensione che deve avere. Perché?
Troppe volte nel passato recente ci si è soffermati nell’affrontare l’argomento a più riprese con dei colleghi e nonostante lo scervellamento nel cercare di trovare il motivo, ogni tentativo ha trovato risposte molteplici ma mai una uguale all’altra.
Sappiamo benissimo come il sistema calcio femminile abbia da più di un trentennio già un grande successo in diversi paesi europei e dell’altra parte del mondo, ma se ci affacciamo poco poco alla nostra penisola, ci rendiamo veramente conto di quanto non abbia ancora trovato definitivamente il successo che meriterebbe di avere.
Nel tempo perso (non ne ho mai avuto da quando faccio questo mestiere) ho speso delle ore per andare alla ricerca di qualcosa che mi desse soddisfazione e che mi potesse aiutare a capire perché il fenomeno del calcio femminile stenti a sviluppasi ma soprattuto sia circondato da stereotipi e diffidenze che in nessun altro sport o evento o manifestazione si possano constatare.
Io, un idea me la sono anche fatta, soprattutto dopo la bella chiacchierata con un collega che ho conosciuto da poco e che neanche farlo apposta, coltiva la mia stessa passione, quella per il calcio femminile.
Nell’incontrare telefonicamente Antonio Piazzolla, direttore e fondatore della goleada.it nonché autore del libro dal titolo “Gol di Tacco”, ho avuto conferma che persone come me meticolose e sempre alla ricerca di qualcosa al fine di arrivare a “possedere notizie profonde che fanno la differenza” ce ne sono, basta avere la fortuna di conoscerle.
La chiacchierata si è strutturata in maniera spontanea senza seguire uno schema ben preciso e lui è stato molto disponibile ad accettarla come se fossimo stati tra amici in un parco su di una panchina.
La prima cosa che ho ben capito è che ha voluto dedicare un libro al calcio femminile con l’intendo di “aprire ai più” la conoscenza di questo fenomeno e nel contempo di invitare gli stessi destinatari ad abbandonare la visione che gli schemi tradizionali ci inducono ad avere.
Calcio femminile, Antonio Piazzolla a Tag24
La prima domanda era d’obbligo, cosa ti ha avvicinato al mondo del calcio femminile?
“Un aneddotto, e te lo racconto anche con piacere. Ci ritrovavamo a Vasto Marina in provincia di Chieti l’estate, eravamo ragazzini e venivano da ogni parte d’Italia per fare le vacanze e c’erà una ragazzina di Roma che voleva giocare. Con diffidenza, decidemmo di aggregarla con noi ma era veramente forte tanto che negli anni a seguire veniva sempre contesa perché la volevamo nelle nostre rispettive squadre.
Tra l’altro alcuni anni dopo, venimmo a conoscenza della carriera che aveva fatto nel calcio femminile. Era arrivata a vestire la maglia della Lazio per giocare in serie B. L’esperienza che ho vissuto in quella estate e poi nelle successive nell’età della pre-adolescenza e dell’adolescenza, sicuramente ha contributo ad abbattare i luoghi comuni che ci influenzano.
Cosa ti ha indotto ad interessarti delle dinamiche storico culturali del calcio femminile?
“La storia particolare che interessa la Dick, Kerr & Co., azienda leader del settore ferroviario ed in particolare nella produzione di locomotive, tram
e motori che con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale si convertì per la produzione di munizioni. Tutto parte dall’assunzione di molte donne chiamate a prendere il posto delgi uomini che bel frattempo si erano impegnati nel conflitto.
Un giorno Alfred Frankland, l’amministratore di ufficio, notò le dipendenti che nelle ore della pausa pranzo giocavano a pallone. Sapevano farci talmente tanto che fondò una squadra tutta femminile per farla partecipare ad un incontro nelle festività di Natale affinchè si raccogliessero dei fondi.
La prima si disputò al Deepdale di Preston davanti a 10.000 spettatori e raccolsero la bellezza di 600 sterline ovvero 60mila euro di oggi tutte devolute al Moor Park per aiutare i soldati feriti e convalescenti che si trovavano lì.
La storia delle Dick, Kerr’s Ladies ormai era talmente conosciuta ai più per le diverse tournè che faceva. Frankland decise di prendere accordi con Alice Milliat, la fondatrice della Fédération des Sociétés Feminines Sportives de France, per disputare la prima partita femminile internazionale di cui si ha notizia nella storia. Da lì poi è partito tutto quello che oggi conosciamo del calcio femminile.“
Secondo te, perché qui in Italia si fa fatica ad accettare che anche il calcio femminile deve essere come il calcio maschile?
“In base alle idee che mi sono fatto dagli studi e dalle ricerche che ho condotto, affonda a origini antiche. Il calcio femminile è sempre stato ostacolato in epoca fascista. Se prima ci fu un patriarca che fece in modo che le donne potessero praticarlo, successivamente l’epoca fascista portò con le sue regole e le sue imposizioni a far giocare le donne ma a porte chiuse per evitare che qualcuno le vedesse, come se fosse uno scandalo vedere le donne giocare a calcio.
“Inoltre anche le regole vennero modificate: le partite duravano di meno, 30 minuti per tempo anziché 45 ed era concesso loro di giocare con una palla molto più piccola, corrispondente al numero 3.
Questi provvedimenti venivano prese in basa alla visione che si aveva della donna. La donna negli anni 20 veniva ancora vista come uno strumento di casa, strumento per sfornare bimbi. A rafforzare questa tesi, un certificato di un dottore milanese dell’epoca. Il calcio agonistico, dal contenuto del certificato, si evinceva come se fosse quasi nocivo per la donna praticarlo.
Per risponderti, l’idea quindi che mi sono fatto è che il calcio in Italia è come se fosse stato da sempre un’esclusia del genere maschile, quindi aprire all’idea che il calcio appartenga anche alla donna è come andare a togliere quel poco che ha l’italiano medio perché poi finito il fascismo, finite le imposizioni, il calcio femminile in Italia non si è mai visto se non dai primi anni 90.“
Quali sono gli strumenti o gli ingredienti da utilizzare per far crescere nel minor tempo possibile il calcio femminile in Italia?
“Penso che un primo ed importante impulso debba arrivare dall’ambito governativo per esempio con uno stanziamento di fondi, con le creazioni di più scuole intese come accademie per far si che questo movimento si possa sviluppare meglio da nord a sud anche perché esistono delle aeree di totale assenza di accademie di scuole o altro.
Mentre nel nord è più facile concepire la scuola calcio femminile al centrosud è pò più complesso perché magari non hai tutti questi strumenti. Altro segnale deve arrivare dalle federazioni e dalle leghe affinché diano opportunità e spazio per incentivare lo sport, anche in termini di accordi con partner, sponsor che possono dare quella visibilità che serve per venire fuori. Magari le opportunità si creano anche adottando degli esperimenti, dei spin off.
Poi anche noi addetti ai lavori siamo un pò responsabili, i giornali danno spazio a eventi di primo piano, ma il calcio femminile non è soltanto rappresentto dalla nazionale e il mondiale che andrà a giocare. Di notizie della serie A, B, C se ne trovano poche perché sono elargite con il conta gocce, c’è poca trasmissibilità per queste categorie.”
La comunità LGBT nel calcio femminile
Nel suo libro ha trattato anche della crescita parallela del movimento calcistico e della comunità LBGT. Ha svariato in divesi ambiti, raccontanto anche le storie che hanno legato questi due movimenti e non ho perso l’occasione di porgli anche una domanda su questo tema.
Affacciandoci nel mondo del LGBT, perché secondo te il calcio femminile accetta di più le diversità rispetto a quanto faccia quello maschile?
“Sulla base delle ricerche fatte, quello che ho potuto constatare è che giocare a calcio per le donne ha rappresentato anche un momento di libertà assoluta per poter esprimere appieno se stesse e di esprimersi sui diritti. Il gioco del pallone è la promozione della libertà. Ritornando agli anni 20, le capitane delle squadre per salutarsi erano solite baciarsi in bocca prima o dopo le partite.
Il movimento del calcio femminile e quello delle comunità LGBT è come se fossero cresciuti assieme e nel tempo insieme si sono rafforzati. Io penso che la donna è più coraggiosa dell’uomo. L’uomo più che altro non è che non accetta, ha paura di non essere accettato, magari invece lo sarà.
“Gol di tacco” il libro che racconta il calcio femminile
E alla fine prima di salutarci non potevo non domandargli, ma che tipo di esperienza ti “ha regalato” scrivere questo libro incentrato sul fenomeno del calcio femminile?
“Conoscere la storia di donne che si sono battute in passato mi ha aperto gli occhi verso un mondo nuovo e bello, come anche assistere a delle imprese pazzesche sportivamente parlando nei nostri giorni. Se un giorno dovessi avere la fortuna di diventare padre di una bambina che mi chiede di giocare a calcio, sarei ben lieto di accompagnarla lungo il cammino che vorrà fare.”