Il ticket di licenziamento è un contributo che il datore di lavoro deve versare all’Inps in caso di cessazione del rapporto di lavoro, ma quando non è dovuto?

Ci sono alcuni casi in cui il datore di lavoro non deve pagare il ticket di licenziamento, ovvero quel contributo che serve a finanziare l’indennità di disoccupazione, oltre che a scoraggiare i licenziamenti.

Spieghiamo, nel testo, cos’è e quando è dovuto e, infine, soffermiamoci con maggiore cura su tutti i casi in cui il datore di lavoro non è tenuto a versarlo.

Cos’è e come funziona il ticket di licenziamento 2023

Il ticket di licenziamento è un contributo che serve a finanziare la disoccupazione. Il datore di lavoro è tenuto al suo versamento, tramite il modello di pagamento unificato F24 entro il 16 del mese successivo all’evento.

È stato introdotto con la Legge n. 92/2012 e deve essere pagato quando si verificano interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
In realtà, lo scopo del contributo è anche un altro, ovvero scoraggiare i presupposti sfavorevoli al licenziamento.

Quando è dovuto

Il contributo deve essere pagato per i seguenti casi di cessazione dei rapporti di lavoro:

  • Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, soggettivo e per giusta causa;
  • Dimissioni per giusta causa;
  • Dimissioni durante il periodo di maternità;
  • Mancata trasformazione del contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato;
  • Risoluzione consensuale del contratto a seguito del rifiuto del lavoratore dipendente a trasferirsi in un’altra unità produttiva distante oltre 50 Km dalla sua residenza;
  • Risoluzione consensuale del contratto a seguito della conciliazione obbligatoria presso la Direzione Territoriale del Lavoro in tutti i casi in cui il datore di lavoro voglia licenziare il dipendente per giustificato motivo.

L’importo del contributo deve essere pagato in tutti i casi in cui il lavoratore avrebbe diritto a ricevere la Naspi; è dovuto, quindi, anche quando non ne fa nessuna richiesta.

La disoccupazione spetta a tutti i lavoratori che perdono involontariamente il lavoro e non solo per i motivi sopra indicati, ma anche a causa di crisi finanziaria aziendale. Un altro caso riguarda i licenziamenti collettivi, ovvero quando vengono licenziati almeno cinque lavoratori in un periodo di 120 giorni.

Quando non è dovuto

Ci sono alcuni casi particolari in cui il ticket di licenziamento non è dovuto. Il caso in questione riguarda il contributo ASpl per le imprese edili. I datori di lavoro del settore edile, in alcuni casi specifici, sono esonerati dal versamento del contributo. Quando non è dovuto? Le imprese non devono versare il ticket di licenziamento nei casi di interruzione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato per completamento delle attività e chiusura del cantiere (certificata dal responsabile tecnico).

Oltre a ciò, bisogna sapere che il contributo non è dovuto quando si tratta di:

  • Collaboratori domestici;
  • Operai agricoli;
  • Operai extracomunitari stagionali;
  • Decesso del dipendente;
  • Cambio d’appalto;
  • Dimissioni (ad esclusione di quelle per giusta causa);
  • Scadenza naturale del contratto di lavoro a tempo determinato.

Ticket licenziamento: ecco l’importo del 2023

Il 2023, per ogni anno di lavoro dipendente il valore del ticket di licenziamento individuale è pari a:

  • 603,10 euro (41% di 1.470,99 euro);
  • 1.809,30 euro per i contratti che hanno avuto una durata pari o superiore ai 36 mesi.

Per quanto riguarda i licenziamenti collettivi, dove si utilizza la percentuale dell’82%, il valore del contributo è pari a:

  • 1.206,21 euro (valore mensile 100,51) per anzianità superiore a 12 mesi;
  • 3.618,63 euro per anzianità pari o superiore a 36 mesi.

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