Da noi non è ancora uscito, ma “Barbie” già si preannuncia un successo. A meno di ventiquattro ore dal debutto nelle sale italiane del 20 luglio, un giorno prima di Stati Uniti e Gran Bretagna, il film “sulla” bambola più iconica di sempre lascia dietro di sé commenti positivi, stroncature, recensioni variegate e promettente battage via social.

Da noi uscirà domani, ma crea già dibattito tra recensioni positive e stroncature. “Barbie” è già un successo.

Non un film come gli altri. E non solo per via dello status di “live action” legato a un “giocattolo” che va oltre il giocattolo. Simbolo del fashion dal “volto umano”, capace cioè di sposare anche cause nobili oltre la vacuità dei riflettori. Sebbene da lì tragga linfa, come già dimostra la premiere milanese di ieri sul “pink” (non più red) carpet.

Diretto da Greta Gerwig, quarant’anni il mese prossimo, arriva a coronamento di un’idea sbocciata ben 14 anni fa. Il primo concetto che prende di mira è la perfezione. Essendo appunto imperfetta, Barbie – impersonata da Margot Robbie – viene cacciata da Barbieland. Nel mondo reale, incrocerà le sue vicende con Ken, ossia Ryan Gosling. Scrive Fulvia Caprara su “La Stampa“:

Poteva essere perfetta, ma non lo è. C’è tutto, c’è troppo, così la scelta di rileggere l’icona in chiave femminista, intuizione felice e nell’aria del tempo, finisce, a tratti, per appesantire il racconto caricandolo di rimandi contorti che rallentano il ritmo e confondono i pensieri.

Pareri discordanti sul film del momento. È comunque febbre “Barbie”.

“Due stelle e mezzo” per Valerio Sammarco su “Cinematografo“:

Un po’ musical, un po’ commedia demenziale (ma mai fino in fondo, sarebbe stato forse meglio), un pelo dissacrante (il prologo che fa il verso al monolite di 2001: Odissea nello spazio già ampiamente svelato dal primo teaser trailer), dal ritmo non proprio invidiabile (due ore si sentono tutte) ma con qualche discreta trovata (la ribellione in nome della scoperta del patriarcato capitanata dal Ken impersonato dal biondissimo e pompatissimo Ryan Gosling), Barbie dà un colpo al cerchio e uno alla botte, tenta l’aggancio nostalgico con le mamme di oggi (America Ferrera) per parlare alle adolescenti consapevoli (Ariana Gleenblatt), quelle che hanno rifiutato l’idea della bambola emblema del capitalismo ma che, in fondo, non ne avevano colto le potenzialità nascoste…

E se Paolo Mereghetti, sul “Corsera“, assegna un più che incoraggiante 6 e 1/2, Richard Lawson di “Vanity Fair” scrive di

(…) un film che è in parte satira, in parte favola seria e in parte meditazione sulla natura dell’esistenza. Queste componenti non compongono un film coeso – le svariate mode e gli accessori di Barbie spesso si scontrano – ma se non altro Gerwig è riuscita a realizzare qualcosa su cui vale la pena riflettere e parlare. Barbie, insomma, non si riduce al freddo luccichio di un semplice prodotto approvato dal consiglio di amministrazione, anche se in fondo questo rimane.

La verità è che il film fa parlare di sé, peraltro in un periodo mai facilissimo per le uscite al cinema. E allora ha già vinto. Un esempio: il titolo su “Wired” è “Barbie spreca la sua occasione e ci rifila prediche, spot e l’assoluzione della Mattel“, quello su Gay.it “Perché Barbie è il capolavoro dellestate“. La verità starà sicuramente nel mezzo.

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