Era annunciato, ed eccolo qui. È scontro, nella Commissione Lavoro della Camera dei deputati, sul salario minimo. Il governo non ne ha mai fatto mistero: è massima la contrarietà nei confronti della misura caldeggiata dalle opposizioni unite ad eccezione di Italia Viva. Parliamo della proposta per la contrattazione collettiva che impone una soglia minima, sotto la quale non è possibile scendere, di 9 euro l’ora per i contratti dei lavoratori e delle lavoratrici. Prima Giorgia Meloni poi la titolare del ministero al ramo, Elvira Calderone, hanno fatto sapere che quella paventata dalle opposizioni non sarebbe una strada percorribile per legge. E quindi, la maggioranza di governo, si è adoperata per affossare la proposta.
L’emendamento soppressivo
L’affossamento è avvenuto attraverso gli strumenti tecnici delle istituzioni: i partiti – tutti – della maggioranza di centrodestra hanno presentato un emendamento soppressivo della proposta di salario minimo. Il testo recapitato all’ufficio della Commissione Lavoro contiene un verbo inequivocabile: “Sopprimerlo”. Non c’è spazio alle interpretazioni e nemmeno alle discussioni e questo fa adirare i partiti di opposizione che non accettano, al di là dell’operazione di affossamento in sé, la totale chiusura ad un confronto sul merito. Ma il governo Meloni procede dritto e convinto.
Scontro in atto
Lo scontro, che per questioni evidentemente numeriche non può portare ad esito diverso da quello imposto dalla maggioranza di centrodestra, in corso ora in Commissione Lavoro. Arturo Scotto, capogruppo del Partito Democratico all’interno della Commissione, si fa portavoce dell’idem sentire delle opposizioni. Le sue parole:
Il problema fondamentale di questo Paese non è l’immigrazione, ma l’emigrazione di centinaia di migliaia di giovani che rifiutano i salari da fame e scelgono di andare all’estero o si rifiutano di lavorare per 700 euro al mese. Direi il falso se dicessi che questa situazione è colpa di questa maggioranza. E’ un fenomeno in atto dagli ultimi venti anni e se abbiamo dati inaccettabili rispetto agli altri Stati europei tutti i governi ne sono stati responsabili. Abbiamo la stessa analisi? Condividiamo la medesima urgenza? Allora è un dovere civico per il Parlamento intervenire a difesa delle lavoratrici e dei lavoratori poveri e sfruttati.
E ancora:
Il Parlamento si prenda uno spazio di libertà rispetto al governo. Occorre uno scatto. E lo scatto – ha aggiunto – è il ritiro dell’emendamento soppressivo e, dopo una discussione franca, l’approvazione della legge sul salario minimo legale. Nessuno e nessuna può lavorare sotto i nove euro, altrimenti è incitazione allo sfruttamento
Intanto, altrove
Ma è una partita che si gioca anche fuori dal palazzo e si declina in dichiarazioni ed interventi dai vari leader di partito. Elly Schlein, Segretaria del Partito Democratico, è intervenuta direttamente da Bruxelles in seno al pre-vertice Ue-Celac:
Di salario minimo è giusto che si parli perché le opposizioni sono riuscite a unire le loro forze e tra poco inizia la discussione in commissione dove il Partito democratico continuerà a difendere l’idea che bisogna contrastare il lavoro povero: 3,5 milioni di lavoratrici e lavoratori, secondo l’Istat, sono poveri anche se lavorano. Il governo di Giorgia Meloni non può voltare la faccia dall’altra parte su una misura su cui, peraltro, i sondaggi dicono che c’è un supporto del 75% delle italiane e degli italiani. Quindi, noi continueremo a batterci e non molleremo di un centimetro su questa importante proposta.
Antonio Tajani, neosegretario di Forza Italia, commenta così:
In Italia non serve il salario minimo. Serve un salario ricco, perché non siamo nell’Unione Sovietica in cui tutti avevano lo stesso stipendio.
Insomma, è una battaglia che si gioca dentro e fuori le istituzioni. E che andrà avanti anche dopo la seduta di commissione odierna e nonostante l’affossamento da parte della maggioranza. Le opposizioni andranno avanti. Parola – tra le altre – della Senatrice M5s Barbara Floridia:
Il fatto che quasi tutte le opposizioni siano arrivate a convergere su una proposta unitaria ci soddisfa e ci sprona ad andare avanti su quella che è una battaglia di civiltà a tutela di milioni di lavoratori e delle loro famiglie.