Se il procuratore della Repubblica di Palermo Maurizio De Lucia dice, davanti alla Commissione parlamentare antimafia, che “Matteo Messina Denaro non è mai stato il capo di Cosa Nostra, non lo abbiamo mai detto. Perché non lo è di fatto, non ha mai governato l’organizzazione”, vi aspettereste di leggere articoli su articoli dedicati a questa rivelazione fatta dal magistrato che ha guidato la cattura dell’ex superlatitante.

Invece, salvo errori, l’unico mezzo di comunicazione che si è occupato dell’argomento è il sito lacnews24, diretto da Pierpaolo Cambareri. Nell’articolo il giornalista Consolato Minniti scrive che De Lucia è “una delle persone più titolate ad affrontare il capitolo relativo al ruolo rivestito dal boss di Cosa Nostra e da coloro che ne hanno favorito la latitanza”. E aggiunge: “Il procuratore palermitano trancia una narrazione che, per molto tempo, ha tenuto banco non solo in Sicilia, ma un po’ in tutta Italia. In molti ritenevano che Messina Denaro fosse l’erede naturale di Riina e Provenzano. Colui che, visti i segreti di cui è custode, fosse anche posto al vertice assoluto di Cosa Nostra. Evidentemente, dalle emergenze riscontrate dagli uffici giudiziari palermitani una tesi simile non è provata”.

L’audizione del procuratore di Palermo in Commissione antimafia

Moltissimi giornali hanno scritto di coperture massoniche alla latitanza di Messina Denaro. In Commissione antimafia è stato detto: “Dopo la cattura è stato arrestato il suo medico di base accusato di avere gestito l’aspetto sanitario del boss. Il medico è risultato iscritto alla massoneria. È un dato che ha dei profili inquietanti, ma altro è il coinvolgimento di tutto il contesto massonico“. Il giornalista chiosa: “Sbagliato, dunque, criminalizzare un’intera categoria a fronte di singole persone coinvolte“. Invece, talvolta o spesso scegliete voi, accade. 

Stefano Bisi

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