Mario Meneguzzi, lo zio di Emanuela Orlandi, non ha niente a che fare con la sparizione della ragazza vaticana: ne è certo uno dei poliziotti che per primi indagarono sul caso e che alla vicenda ha lavorato per ben 20 anni, prima di andare in pensione. Lo riporta il Corriere della Sera, che l’ha intervistato dopo che voci su un possibile coinvolgimento della famiglia nella scomparsa sono tornate a farsi sentire con insistenza, nelle scorse settimane. Tanto da spingere il fratello di Emanuela, Pietro, a convocare una conferenza stampa in cui ha spiegato che si tratta di piste già vagliate, che non hanno portato da nessuna parte.
Emanuela Orlandi, le parole di un poliziotto che ha lavorato alla sparizione della ragazza vaticana sullo zio
Su Mario Meneguzzi ci attivammo, su nostra iniziativa autonoma, fin dalle primissime ore. Ci colpì quel suo attivismo, i modi di fare di chi sembrava sicuro di essere più importante di un semplice zio di Emanuela Orlandi. Poi però chiarimmo tutto e capimmo anche il perché si comportasse così. Con la sparizione della nipote non ha nulla a che fare,
ha dichiarato il poliziotto intervistato dal Corriere, che per anni ha lavorato al caso della ragazza vaticana, scomparsa nel nulla nel 1983 e mai ritrovata. E così ha confermato quanto già detto da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, nel corso della conferenza stampa convocata per l’11 luglio scorso proprio con l’obiettivo di fare chiarezza sulla vicenda.
Una mossa indispensabile, per i familiari della ragazza, dopo le ultime voci su un possibile coinvolgimento dello zio nella sua sparizione. Una pista già vagliata, in passato, ma che non aveva portato da nessuna parte. A riaprirla, qualche giorno fa, erano stati alcuni documenti presentati dal promotore di giustizia vaticana Alessandro Diddi alla Procura di Roma (entrambi sono da poco tornati ad indagare sul caso).
Nei carteggi, resi noti in anteprima nel corso del Tg di La7 il 10 luglio, l’allora segretario di Stato, Agostino Casaroli, chiedeva a un sacerdote sudamericano (ricevendo da lui risposta affermativa) se fosse venuto a conoscenza del fatto che Natalina Orlandi, sorella di Emanuela e Pietro, fosse stata molestata sessualmente dallo zio. Circostanza che la stessa vittima aveva reso nota, nel corso di una testimonianza messa a verbale. L’ipotesi, in pratica, è che Emanuela abbia subìto lo stesso destino e poi sia stata fatta scomparire dall’uomo, ormai deceduto.
Una versione dei fatti che non torna, per diversi motivi.
Perché Mario Meneguzzi sarebbe estraneo ai fatti
Innanzitutto, il giorno della scomparsa della nipote Mario Meneguzzi non era a Roma: si trovava nella sua casa di villeggiatura a Torano, in provincia di Rieti. Poi, l’identikit dell’uomo visto accanto alla ragazza nel giorno della sparizione non combacerebbe con il suo, né combacerebbe l’auto, una Bmw di colore nero. Secondo il poliziotto che ha lavorato alla vicenda, Meneguzzi, in pratica, avrebbe preso parte alle indagini, facendosi carico delle telefonate che arrivavano alla famiglia, solo perché si trovava in una posizione privilegiata, avendo amici nei servizi segreti.
Era normale che la famiglia lo investisse nel ruolo di risolutore di quella situazione così drammatica. Aveva conoscenze, amicizie, poteva bussare a porte che alla famiglia sarebbero state invece precluse,
ha detto. Il fatto che si sia tornati ad insistere su questa pista, ha ribadito, potrebbe essere un tentativo di depistaggio, come aveva già messo in luce Pietro Orlandi, per “salvare” il Vaticano dalle responsabilità che avrebbe nella vicenda. Secondo lui la pista più probabile, anche se non dimostrata, resta, infatti, quella di
una sovrapposizione tra un caso di pedofilia interna al Vaticano e un inserimento di soggetti esterni che hanno provato a usare il caso a loro vantaggio (come la banda della Magliana, ndr).