La Procura di Roma ha chiesto il giudizio immediato per Costantino Bonaiuti, l’ingegnere di 61 anni accusato dell’omicidio di Martina Scialdone, l’avvocatessa di 34 anni uccisa a colpi di pistola davanti a un ristorante della Tuscolana la sera del 13 gennaio scorso. I pm, Barbara Trotta e Daniela Cento, contestano nei suoi confronti l’omicidio volontario aggravato dai futili e abbietti motivi e dalla premeditazione e il porto illegale d’arma.

Chiesto il giudizio immediato per Costantino Bonaiuti: è accusato dell’omicidio di Martina Scialdone a Roma

Secondo l’accusa, Bonaiuti, in pratica, avrebbe portato con sé l’arma del delitto, una Glock semiautomatica che deteneva legalmente per uso sportivo, perché sapeva già che la sua ex, Martina, avrebbe ribadito di voler mettere fine alla loro relazione. Da un po’ ne controllava ossessivamente gli spostamenti ed era arrivato addirittura a piazzare un Gps nella sua auto, collegandolo al suo smartphone. Avrebbe agito spinto dalla gelosia. I fatti risalgono alla serata del 13 gennaio scorso.

I due si erano dati appuntamento in un ristorante situato in zona Furio Camillo, a Roma, per un incontro chiarificatore. Da tempo, infatti, Scialdone gli aveva riferito di volerlo lasciare e di voler andare avanti con la sua vita. Una scelta che lui non aveva accettato, diventando sempre più cupo. Nel corso della serata, stando a quanto riferito da alcuni avventori del locale, avevano preso a litigare animatamente. A un certo punto, dopo aver pagato il conto, lui si era allontanato, mentre Martina era andata in bagno, forse nel tentativo di proteggersi dalla sua furia.

Una volta uscita era stata colta di sorpresa dall’uomo, che le aveva sparato a bruciapelo, colpendola in pieno petto, sul marciapiede, poco distante dalla sua auto. Nonostante fosse ferita, la 34enne era riuscita a trascinarsi per qualche decina di metri, prima di crollare a terra, inerme. All’arrivo del fratello era già morta. Intanto lui si era dato alla fuga. Era stato arrestato poche ore dopo nell’appartamento che condivideva con l’ex moglie, in via Monte Grimano, in zona Colle Salario-Fidene.

La versione dei fatti dell’imputato

Il legale che difende Costantino Bonaiuti, l’avvocato Fabio Tagliatela, ha più volte ribadito che il suo assistito avrebbe portato con sé la pistola usata per il delitto per fingere di volersi suicidare e attirare così le attenzioni della sua ex. Avrebbe colpito la donna, quindi, per errore. Da qualche tempo era affetto da una grave depressione: non avrebbe dovuto avere il porto d’armi, che invece gli era stato concesso.

Ai suoi colleghi, e forse anche a Martina, aveva raccontato di avere un tumore ai polmoni. Per questo il suo datore di lavoro, l’Enav, gli aveva concesso di lavorare da casa non ricevendo in cambio, però, alcun certificato di malattia. L’ipotesi è che si trattasse di una menzogna, come quella della “commedia inscenata per impietosire la persona amata e ricondurla a sé”: secondo i pm che hanno lavorato al caso, infatti, era capace di intendere e di volere e avrebbe messo in atto un piano ben preciso.

La testimonianza del fratello della vittima

Quando sono arrivato li ho trovati che stavano litigando. Mia sorella è entrata in macchina per cercare le chiavi di casa, lui la tratteneva per un braccio. Mi sono messo in mezzo cercando di dividerli. Nel momento in cui ci sono riuscito, lui ha tirato fuori la pistola e ha sparato. Eravamo a un metro e mezzo di distanza l’uno dall’altro, non ho fatto in tempo a regire,

aveva raccontato il fratello di Martina, giunto sul posto perché la vittima lo aveva chiamato per chiedergli di riportarla a casa, con un tono agitato.