Rieccola, la magistratura che torna a giocare un ruolo nella politica italiana. Succede ciclicamente e, d’altronde, proprio nel nostro paese abbiamo assistito al caso unico al mondo di una inchiesta giudiziaria che è finita per modificare l’assetto politico ed istituzionale con la fine della partitocrazia e la messa di una pietra tombale sulla prima Repubblica. Un passaggio che portò all’ascesa di quel Silvio Berlusconi che, più di ogni altro, aprì un duello manifesto non contro la magistratura tout court ma contro quella che definiva “politicizzata”. Un sottobosco che lavorava, attraverso la legge, per denigrare i nemici politici. Il berlusconismo, è stato anche questo. Ed ora, anche senza Berlusconi, rieccolo qui.

Meloni accerchiata

Giorgia Meloni si è data un gran da fare per ripulire la sua immagine e liberarla dalle ombre della genesi postfascista da cui proviene Fratelli d’Italia. È stata una sofisticata operazione di dediavolizzazione attraverso cui, già in campagna elettorale, ha cercato di parlare ai partner internazionali e alle istituzioni europee con l’intento di tranquillizzarle. Pronti non – solo – a governare l’Italia ma a garantire affidabilità democratica.

Ecco perché appare strano vedere ora il Presidente del Consiglio lanciare il guanto di sfida alla magistratura italiana – quella, cosiddetta, politicizzata – in un impeto di berlusconismo. È l’evidente segno di una sofferenza cresciuta nell’ultimo mese: prima il caso Santanché, poi quello Delmastro tornato in auge, infine quello che riguarda il figlio di Ignazio La Russa. Meloni si sente all’angolo e contrattacca: siamo accerchiati, vogliono farci cadere. Accuse talmente rumorose che rischiano di spostare l’attenzione e di offuscare il discorso, nel merito, sul dossier riforma della giustizia che è nelle mani del Ministro Carlo Nordio.

Mattarella vigile

Insomma, questo berlusconismo di ritorno difficilmente potrà piacere a Bruxelles. E nemmeno alla presidenza della Repubblica che, fortuna, riporta il piano del discorso sul merito passando al lucernino il contenuto della riforma della giustizia preparata dal governo Meloni. Fugato ogni dubbio di incostituzionalità: il testo scritto – che da via Arenula tengono a dire che è ancora suscettibile di modifiche – è coerente con il dettato costituzionale. Il Presidente Sergio Mattarella, quindi, riportano fonti quirinalizie, firmerà per dovere d’ufficio l’autorizzazione a presentare alle camere il Ddl. Non è un decreto, ma un disegno di legge. Ergo, non entrerà in vigore ipso iure ma solo – ed eventualmente – in seno all’iter parlamentare previsto per legge.

I dubbi

Sempre fonti della presidenza della Repubblica, però, fanno sapere che ci sarebbero almeno due grossi punti interrogativi nella mente del capo dello Stato. Il primo è legato al passaggio della legge che fa sparire l’abuso d’ufficio, l’altro è quello che riduce in modo drastico la portata del traffico d’influenze.

Mediazione in corso

Ecco allora che Sergio Mattarella, oltre a vigiliare, fa da mediatore. Il Presidente della Repubblica, infatti, ha ricevuto al Quirinale la dottoressa Margherita Cassano, Prima Presidente della Corte di Cassazione e il dottor Luigi Salvato, Procuratore Generale della Corte di Cassazione. Un evento non casuale ma che, nel solco attuale, è da intendersi come un tentativo di riportare il discorso sulla giustizia nei ranghi istituzionali e di merito. Necessario visto il recente strabordare di polemiche, contro polemiche, e nostalgici sussulti di berlusconismo. L’obiettivo del Quirinale è chiaro: non solo assicurare che in Parlamento approdi una legge costituzionalmente coerente, ma anche far sì che l’iter legis parti in un clima rasserenato rispetto a quello delle ultime settimane. Altrimenti c’è il rischio che la discussione in aula diventi il pretesto per alimentare ulteriori fiamme. Allontanando, ancora di più, la discussione sulla giustizia dal merito della riforma.