La Procura di Roma ha ufficialmente chiuso le indagini preliminari relative alla strage di Fidene, consumatasi l’11 dicembre del 2022 a Roma. Si va verso il rinvio a giudizio, quindi, per Claudio Campiti, l’uomo che aprì il fuoco sugli avventori di un’assemblea del consorzio Valleverde nel gazebo di un bar di via Monte Gilberto, uccidendo quattro donne: Nicoletta Golisano, Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis. L’accusa nei suoi confronti è di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi e di tentato omicidio e lesioni, per aver ferito cinque persone.

Strage di Fidene, chiuse le indagini: verso il rinvio a giudizio per Claudio Campiti

A riportare la notizia della chiusura delle indagini è il Messaggero, secondo cui Claudio Campiti potrebbe presto finire a processo. È accusato di quattro omicidi volontari aggravati, di tentato omicidio e lesioni. Su due persone pende, invece, l’accusa di concorso nel porto abusivo d’arma. Si tratta del presidente del tiro a segno nazionale di Tor di Quinto, Bruno Ardovini, e di Giovanni Maturo, responsabile dell’armeria di cui il 57enne era un frequentatore assiduo e da dove aveva portato via la pistola Glock calibro 45 usata per compiere la strage.

I fatti risalgono all’11 dicembre scorso. Armato, Campiti era entrato nel gazebo del bar “Il posto giusto” di Fidene, nella periferia nord della Capitale, sparando contro gli avventori di una riunione del consorzio Valleverde – con cui aveva dei trascorsi burrascosi – uccidendo quattro persone e ferendone gravemente cinque. Era stato arrestato in flagranza dopo essere stato disarcionato e bloccato da uno dei presenti, rimasto anch’egli ferito nel corso della colluttazione.

Il gip che ne aveva disposto la convalida dell’arresto aveva definito la sparatoria “l’esito di una lunga pianificazione”. Sembra infatti che l’uomo avesse escogitato tutto nei minimi dettagli, forse da quando, circa un mese prima, aveva ricevuto l’avviso di convocazione all’assemblea. Quella mattina, poco dopo le 8, si era presentato, come faceva spesso, presso il poligono di Tor di Quinto, dove aveva chiesto l’arma che avrebbe poi portato con sé insieme a circa 170 proiettili. Da lì aveva raggiunto il locale, scendendo e seminando il panico tra la folla.

Il movente della sparatoria: gli attriti per la gestione del consorzio

È entrato nella sala, ha chiuso la porta, ha urlato ‘vi ammazzo tutti‘ e ha cominciato a sparare,

aveva raccontato una testimone. Stando a quanto emerso nel corso delle indagini, il movente sarebbe legato a degli attriti legati alla gestione del consorzio, che Campiti criticava aspramente anche sui social.

Era conosciuto da tutti e in passato aveva già fatto minacce verbali,

avevano spiegato altri condomini. Nei giorni immediatamente precedenti il consiglio di amministrazione dell’ente aveva deciso di inviargli un decreto ingiuntivo: da ben 7 anni, infatti, l’uomo non pagava i contributi dovuti al consorzio, non accettando le sue “regole ferree”. Nel 2012 aveva perso il figlio di 14 anni in un incidente in montagna, in Alto Adige. Da allora in molti avevano parlato di un “cambiamento”. Dopo aver lavorato per anni come assicuratore, aveva perso il lavoro e le sue condizioni economiche erano peggiorate sempre di più.

Viveva, ad esempio, senza acqua e luce. I residenti del palazzo in cui viveva lo avevano già denunciato, per i suoi comportamenti violenti. Una volta fermato per la strage era stato trasferito nel carcere di Regina Coeli. Finora non avrebbe mai mostrato segni di pentimento per quanto ha commesso. Secondo gli esperti, comunque, sarebbe totalmente capace di intendere e di volere.

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