Tornano nuove inquietanti novità sul tema del disastro del sommergibile Titan, al cui interno hanno perso la vita 5 persone che avevano pagato 250mila dollari per arrivare a visionare il relitto del Titanic, adagiato sul fondale marino.

L’esperto: “Sul Titan sapevano di essere alla fine”

Sapevano che mancava poco alla loro morte. Ne è convinto l’ingegnere spagnolo ed esperto subacqueo José Luis Martín, che in una intervista al portale spagnolo NIUS ha offerto una cronologia degli ultimi istanti del Titan, andato distrutto il 18 giugno, a meno di due ore dalla sua immersione. Secondo Martín infatti “durante l’immersione controllata del Titan, deve essersi verificato un guasto elettrico, che ha lasciato l’imbarcazione senza spinta”. Sarebbe stato questo il momento in cui gli eventi hanno cominciato a precipitare, concludendosi con la morte di tutti e cinque i passeggeri.

La ricostruzione degli eventi

Il Titan, sommergibile di proprietà della OceanGate Expeditions, ha perso il contatto con la sua nave appoggio, la Polar Prince, un’ora e 45 minuti dopo essere partito verso il Titanic, che si trova a circa 3.800 metri sotto la superficie dell’Oceano Atlantico, a poco meno di 400 miglia al largo della costa di Terranova, in Canada. L’apice dei problemi, il corto circuito, sarebbe avvenuto a circa 1.700 metri di profondità: “Senza la spinta, il peso dei passeggeri e del pilota (circa 400 chilogrammi), concentrato sulla parte anteriore, vicino al portello visivo, avrebbe interrotto la stabilità longitudinale del Titan“. “A questo punto, il sommergibile inizia a precipitare a capofitto verso il fondo del mare e, con le funzioni di controllo e sicurezza danneggiate, non può più essere manovrato”. A ciò si aggiunge, secondo l’esperto, il fatto che “il pilota non è riuscito ad attivare l’uscita di emergenza per far cadere i pesi” per far riemergere il batiscafo. Batiscafo che, “mentre cadeva nelle profondità dell’oceano, avrebbe subito un improvviso aumento della pressione sottomarina“, provocando una “potente compressione”, che si è rivelata letale. Lo scafo in fibra di carbonio infatti avrebbe reagito in maniera diversa rispetto all’oblò in acrilico e ciò avrebbe permesso di creare micro fessure fra i materiali portando alla deflagrazione fatale.