Ferie e permessi non goduti, ecco quando il datore di lavoro deve rimborsarli anche a distanza di anni, secondo quanto emerge dall’ordinanza 17643 del 2023 della Sezione del Lavoro della Corte di Cassazione. Dalla sentenza emerge che il lavoratore debba essere messo nelle condizioni, dal datore di lavoro o dall’azienda, della necessità di fruire delle ferie e dei permessi – prima che vadano in scadenza – e di beneficiarne effettivamente. L’eventuale non invito a fruire per tempo delle ferie da parte del datore di lavoro è motivo di condanna al versamento di quanto spettante al lavoratore. Il datore di lavoro, sul quale pesa l’onere della prova, può evitare la condanna nel caso in cui riesca a dimostrare di essersi adoperato e di aver avvisato per tempo il lavoratore, prima che i periodi di riposo e di relax al quale aveva diritto non fossero persi.

La fruizione per tempo delle ferie riguarda sia i rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche che quelli relativi al privato. La sentenza del Cassazione si riferisce a un caso di rapporto di pubblico impiego.

Ferie e permessi non goduti, ecco quando spetta il rimborso anche a distanza di anni: ecco cosa stabilisce la Corte di Cassazione

Il lavoratore monetizza le ferie e i permessi non goduti nel caso in cui il datore di lavoro non lo inviti per tempo a utilizzarne, prima che possano essere persi. È quanto stabilisce l’ordinanza della Corte di Cassazione numero 17643 del 2023 in merito al ricorso presentato da una lavoratrice di un ente pubblico dal 1970 al 2010 per ferie non godute e per mancata tempestività della fruizione delle stesse. I giudici hanno riconosciuto un numero di giorni di ferie non goduti di circa 250 giorni. Su questo riconoscimento, l’amministrazione pubblica aveva presentato il proprio ricorso, poi respinto dai giudici della Cassazione.

Gli ermellini hanno condannato, infatti, l’ente pubblico al pagamento alla lavoratrice impiegata per circa 40 anni di servizio, dell’indennità sostitutiva di circa 250 giorni di ferie. L’indennità riconosciuta, pertanto, riguarda sia i giorni di ferie non goduti annualmente che i riposi settimanali. Secondo i magistrati, spettava all’ente pubblico – ma il caso si può applicare anche al datore di lavoro del settore privato – invitare la lavoratrice a fruire dei giorni di ferie prima che scadessero. L’ente pubblico, quindi, secondo quanto stabilito dai giudici, doveva rivolgere l’invito alla dipendente in maniera accurata e, soprattutto, in tempo utile affinché la lavoratrice potesse beneficiare, prima della scadenza, dei giorni di ferie. A tal proposito, i giudici stabiliscono che il datore di lavoro debba avvisare il dipendente dell’approssimarsi della scadenza dei giorni di ferie e di riposo, affinché non vadano persi perché non goduti.

Monetizzare le ferie non godute e invitare per tempo il dipendente a fruirne

Per arrivare alla sentenza, i giudici hanno considerato che il dipendente costituisca la parte debole del rapporto di lavoro. Proprio per questo motivo, è necessario impedire al datore di lavoro di “disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti”. In considerazione dei rapporti di forza, il lavoratore potrebbe essere dissuaso dal far valere in maniera espressa i propri diritti nei confronti del datore di lavoro (o ente pubblico). L’eventuale rivendicazione da parte del dipendente dei propri diritti – osservano i giudici – potrebbe incidere sul rapporto di lavoro a svantaggio proprio del dipendente.

Da queste considerazione, i giudici invitano i datori di lavoro ad “assicurarsi concretamente e in piena trasparenza” che il dipendente sia in grado di poter fruire delle ferie e dei giorni di riposo. Inoltre, i datori di lavoro hanno l’onere di fornire informazioni – e per tempo utile – del fatto che se il dipendente non dovesse fruire delle ferie, queste andrebbero perse al termine del periodo di riferimento.