Quel foglio corroso dalle lacrime, la voglia della Capitale e lo smacco al giglio viola. In un soffio di vita e di volontà comincia la storia di Sergej Milinkovic-Savic alla Lazio, un percorso che ora profuma di addio verso la sponda araba. C’è chi, dietro questa cessione imminente, ha visto un ultimo gesto d’amore. Tra un anno, infatti, se ne sarebbe andato a zero, senza lasciare nulla nelle tasche dei biancocelesti. Andando via così, dunque, regala alla Lazio, la sua squadra per gli ultimi otto anni, un patrimonio da usare anche in ottica futura. Chissà, magari proprio per un suo erede che, al momento, non si intravede.

Altri hanno visto il mancato rinnovo di Milinkovic alla Lazio come l’ultimo passo di addio con le spalle girate, frutto anche della strategia dialettica del suo procuratore, Mateja Kezman. Anni di richieste di aumento del contratto, domande e dichiarazioni destabilizzanti e poi, alla fine, l’obiettivo raggiunto. Il procuratore del Sergente ha raggiunto l’obiettivo della commissione, quel quantitativo che la Lazio (vedasi caso Luka Romero) non avrebbe mai voluto garantire all’entourage del centrocampista serbo.

Eppure, nonostante gli smottamenti emotivi, il numero 21 saluta la Lazio col sorriso. I trentadue denti del calciatore estero più prolifico della storia della Lazio, quel gigante che non ha mai fatto la punta ma è come se fosse stato un attaccante aggiunto. Quello spilungone – o lungagnone, per dirla alla romana – che i portieri cercavano per una sponda aerea che, puntualmente, arrivava sempre. L’uomo che, davanti a Daniele Pradé, pianse chiedendo l’ombra del Colosseo rispetto al naso aquilino del signor Alighieri. Alla fine non è stato l’ombra, ma la luce di una città che in lui si è rivisto, anche in quel coro “Sergio Sergio” che spesso non capiva ma che, con le braccia al cielo, cominciava a sentire suo.

Milinkovic, l’addio alla Lazio mette il sorriso di gratitudine

In quel di aprile, primi di maggio per dirla tutta, la Curva Nord biancoceleste scacciò via ogni malumore con uno striscione di profonda gratitudine. Era un Lazio-Lecce chiusosi 2-2. A inizio gara, davanti agli applausi di uno stadio Olimpico colmo di voglia di Champions League, la Nord intitolò al suo beniamino lo striscione “Milinkovic, la Nord è con te”. Quel numero 21 si gira, si sforza a leggere come se fosse dall’oculista e ringrazia, sorpreso, la tifoseria. Quella partita finirà proprio 2-2 con un colpo di testa di Sergej Milinkovic-Savic. Lo zampino di chi, durante l’anno, ha subito fischi ingiusti da parte di chi, dal proprio comodo divano, lo accusava di scarso impegno.

Il faro, per illuminare, non ha bisogno di muoversi. Stando fermo sopra a una roccia orienta il percorso delle navi. E’ il punto di riferimento massimo dei viandanti marini, di chi si lancia tra le onde e sfida le intemperie. Questa era la Lazio di Milinkovic-Savic. Lanciavi il pallone a lui, lui c’era. Cercavi un appoggio, lui c’era. Prendevi iniziativa offensiva, lui c’era. C’era e non c’è più. Quel faro della Lazio si è spento. Ce ne saranno altri, ma tutte le navi si volteranno indietro. Che bello che era quel faro. Che bello che era Sergej Milinkovic-Savic.