I cessate il fuoco durano alcune ore, la via della pace è lontana. La situazione in Sudan non si smuove e i combattimenti proseguono, mentre le iniziative diplomatiche zoppicano. L’ultimo episodio dello show è andato in scena lunedì 10 luglio, quando ad Addis Adeba, in Etiopa, è saltata l’iniziativa di pace proposta dai paesi dell’Africa orientale, a causa del boicottaggio da parte dell’esercito sudanese.

Il numero dei morti continua a salire, la luce in fondo al tunnel non si immagina neppure. L’aria è una ciminiera pronta a esplodere e la guerra in Sudan potrebbe presto destabilizzare l’intera area. Milioni di persone sono scappate dal paese per rifugiarsi nelle nazioni limitrofe. Proprio loro sono in ansia e hanno iniziato a spingere a che si ponga fine al conflitto fratricida in Sudan.

Guerra in Suna, la pace proposta dai paesi dell’Igad

Il “Quartetto” dell’Igad composto da Kenya, Gibuti, Etiopia e Sud Sudan, presieduto dal capo di Stato keniano William Ruto, ha quindi tentato di portare la pace in Sudan, invitando i due schieramenti nella Capitale dell’Etiopia. Ma tutto è saltato a causa della presenza di Ruto, la cui figura è stata denunciata dal governo sudanese come non parziale. “La nostra delegazione è arrivata ad Addis Abeba lunedì mattina, ma è stata informata che la presidenza del gruppo dei quattro non era stata sostituita” come aveva chiesto il governo, precisa in un comunicato il ministero degli Esteri sudanese.

Da parte sua, il Quartetto ha criticato “l’assenza della delegazione delle Forze Armate sudanesi (Saf) sebbene invitata e avendo confermato la sua partecipazione”. Il generale Mohamed Hamdane Daglo, capo delle Fsr, aveva invece inviato il suo consigliere politico.

I paesi dell’Africa orientale, nonostante il fallimento, hanno però assicurato che faranno tutto il possibile per

“mobilitare e concentrare gli sforzi di tutte le parti interessate per far incontrare faccia a faccia i leader delle due parti belligeranti”, chiedendo ai contendenti di firmare “un cessate il fuoco incondizionato”. 

Secondo gli analisti, i due schieramenti trovano appoggi anche al di fuori dell’Africa. L’esercito regolare è infatti sostenuto dall’Egitto, mentre i ribelli dagli Emirati Arabi Uniti, dalla Russia e dalla Compagnia Wagner. Ma chi paga un prezzo troppo salato per questo conflitto, sono i cittadini sudanesi costretti a vivere giorno e notte tra proiettili e bombardamenti. Il Sudan vive una situazione critica, tanto che gli aiuti umanitari stentano ad arrivare, di cui 25 milioni di persone hanno bisogno.

Oltre 3mila morti dall’inizio del conflitto

Il conflitto tra l’esercito regolare, guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhane (de facto anche il capo del Paese) e le Forze di supporto rapido (Fsr), con a capo il generale Mohamed Hamdane Daglo, hanno causato quasi 3.000 morti dal 15 aprile. Un bilancio, questo, molto probabilmente ben al di sotto dei reali numeri. Molte persone hanno testimoniato di cadaveri sparsi per le via di Khartum. Molte zone della Capitale e del Paese rimangono inaccessibili.

La guerra, inoltre, ha costretto oltre 3 milioni di persone a lasciare le loro case o a fuggire nei paesi confinati, mentre nessuna iniziativa diplomatica ha dato vita, finora, a più di qualche ora di tregua.