Si sta sentendo molto parlare del salario minimo, se la sua introduzione conviene oppure no: quali sono i pro e i contro? Dopo un periodo di relativo accantonamento della discussione, il salario minimo è tornato ad essere protagonista delle cronache e delle discussioni politiche con la proposta avanzata dalle opposizioni che, tra non molto, inizierà il suo iter parlamentare.

Se per quasi tutte le forze di opposizione si tratta di una legge fondamentale per garantire a tutti i lavoratori salari giusti e per combattere la povertà, la maggioranza di governo la considera ridondante, in quanto i diritti retributivi sono già garantiti dalla contrattazione collettiva.

Conviene il salario minimo? In molti se lo chiedono e, nel testo, spiegheremo quali sono i pro e i contro della proposta di introduzione del salario minimo.

Conviene il salario minimo

Durante gli ultimi tempi si sono accese molte discussioni intorno alla possibile introduzione del salario minimo e, al contempo, si sta scrivendo davvero molto sulla sua eventuale convenienza.

Prima di rispondere alla domanda “Conviene il salario minimo?” dobbiamo spiegare di cosa si tratta. Si intende il salario più basso consentito dalla legge sotto la cui soglia il datore di lavoro non può scendere. In Italia, attualmente, non c’è un salario minimo, in quanto il nostro ordinamento ha previsto che la materia fosse disciplinata dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.

I contratti collettivi stabiliscono il salario minimo per l’85% dei lavoratori. Ma per alcuni non basta e anche il restante 15% deve essere tutelato e l’introduzione del minimo salariale sarebbe l’unico modo per tutelare tutti. Chi vorrebbe il salario minimo, inoltre, vanta anche la difesa di una direttiva europea del 2022 che invita gli stati membri ad introdurre una retribuzione minima. Tuttavia, l’Italia può benissimo considerarsi esonerata da quest’obbligo per via di un alto valore di copertura raggiunto dalla contrattazione collettiva e, per questo, non c’è bisogno di attuare misure correttive.

La maggior parte dei Paesi membri UE ha un minimo salariale, in alcuni casi, anche molto alto (considerando anche il costo della vita molto più alto).
Da un certo punto di vista, la contrattazione collettiva funziona anche molto bene e, in alcuni casi, favorisce una copertura ben più favorevole della soglia salariale fissata a 9 euro che vorrebbero i partiti di opposizione.

Conviene allora? Per alcuni sì, ma per la maggior parte probabilmente no e per altri poco o nulla cambierebbe. Dobbiamo, infatti, anche ragionare sulla direttiva europea che prevede che il salario minimo dovrebbe essere pari al 60% del reddito mediano lordo nazionale. Seguendo alla lettera questi termini, in Italia si dovrebbe avere un minimo salariale pari a 6 euro e molti contratti collettivi prevedono una soglia superiore.

Quali sono i pro

Il salario minimo ha molti pro. Secondo i difensori della legge, la misura dovrebbe tutelare i lavoratori che, attualmente, guadagnano troppo poco per vivere in modo dignitoso. Si parla dei cosiddetti working poors, ovvero tutti coloro che guadagnano meno del 60% del salario mediano nazionale.

Se, prima abbiamo detto che la contrattazione collettiva garantisce una copertura favorevole, ci sono anche molti lavoratori, più del 10% che rimangono scoperti e guadagnano molto meno della soglia prevista.

Inoltre, bisogna anche considerare che gli stipendi non sono aumentati in relazione al costo della vita, ma sono addirittura diminuiti rispetto a molti anni fa.

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Quali sono i contro

Se il pro principale del salario minimo è garantire uno stipendio dignitoso ad una fetta di lavoratori non tutelati dalla contrattazione collettiva, ci sono anche molti contro. Se si applicano le direttive alla lettera, si dovrebbe avere una soglia minima di 6 euro l’ora e molti contratti prevedono un minimo maggiore.

Per evitare una situazione del genere e “gonfiare” il portafoglio dei lavoratori, la maggioranza di governo è orientata al taglio del cuneo fiscale.
Per alcuni, introdurre il salario minimo porterebbe anche una serie di conseguenze come l’aumento del costo del lavoro. Il tutto andrebbe anche ad influenzare la produzione che, a sua volta, genererebbe un effetto domino.

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