Con un clima contraddistinto dal rapido aumento della temperatura media globale, l’estensione dei ghiacciai è pericolosamente minacciata dagli effetti del cambiamento climatico.
Da molti decenni, in varie parti del globo, è monitorato lo stato di salute delle vaste distese di ghiaccio che, anno dopo anno, si riducono in ampiezza e spessore sotto la minaccia del riscaldamento globale.
Dalle calotte polari ai ghiacciai marini, le emissioni di gas a effetto sera, responsabile del cambiamento climatico, minacciano l’esistenza delle vaste distese di acqua ghiacciata; dal loro scioglimento, molte zone costiere sono minacciate dall’innalzamento del livello dei mari.
Artico, gli effetti del cambiamento climatico sul clima:
A nord del circolo polare Artico, la regione geografica circostante, il polo nord e contrapposta all’Antartide, è comunemente indicata come Artide.
Con un clima caratterizzato da lunghi inverni freddi, durante i quali le temperature possono scendere anche sotto i -58°C, con estati brevi e con temperature relativamente tiepide che possono oscillare tra -10°C e +10°C; il paesaggio Artico è caratterizzato da ampie distese di ghiaccio che formano una naturale riserva di acqua ghiacciata.
Con l’aumento della temperatura media mondiale, rilevata negli ultimi anni e stimata superiore al valore di 1.2°C rispetto al periodo pre-industriale, i ghiacciai che formano l’Artico sono esposti al rischio di una rapida diminuzione sia del loro spessore sia della loro estensione.
Negli ultimi anni, attraverso opportune rilevazioni della temperatura media, è stato possibile valutare come l’aumento della temperatura sull’intera calotta artica sia soggetto a oscillazioni.
Attraverso l’analisi dei dati rilevati è stato possibile valutare come in alcune zone dell’artico l’aumento della temperatura media sia pari a quattro gradi centigradi; ben sopra del dato medio mondiale stimato a 1.2°C rispetto all’epoca pre-industriale.
Per monitorare e analizzare costantemente i dati che si riferiscono agli effetti del cambiamento climatico sulla calotta artica, nel 2018 l’Italia ha avviato un programma di ricerca scientifica che permette, attraverso l’utilizzo di navi oceanografiche e collaborazioni con scienziati di altre nazioni, di condurre accurati studi.
Clima, gli effetti globali dello scioglimento dell’Artico:
Il clima mondiale è sottoposto all’influenza di numerosi fattori, che determinano amplificazioni e retroazioni degli effetti globali; l’Artico è un elemento fondamentale per garantire l’equilibrio climatico globale.
Per diversi millenni, le ampie superfici di ghiaccio marino che caratterizzano l’Artico costituivano un’enorme distesa bianca in grado di riflettere la radiazione infrarossa, proveniente dal sole, nello spazio.
In altre parole, l’ampia distesa di ghiaccio, che forma l’Artico, può essere immaginata come uno specchio in grado di riflettere l’energia luminosa arrivata sulla terra dal sole; in questo modo, il calore riflesso nello spazio non contribuisce ad aumentare la temperatura sulla terra.
L’aumento delle emissioni inquinanti di gas a effetto serra ha prodotto l’aumento della temperatura media globale di 1.2°C rispetto all’epoca pre-industriale, che ha contribuito a una diminuzione sia dello spessore sia dall’ampiezza dei ghiacciai marini dell’Artico.
La diminuzione dell’ampiezza dei ghiacciai marini comporta, sia una diminuzione della superficie bianca in grado di riflettere la radiazione solare arrivata sulla terra, sia un incremento della temperatura media globale; che inevitabilmente procura lo scioglimento di altre superfici ghiacciate.
Ghiaccio marino, rischio estinzione fra un decennio:
Erroneamente, fino a pochi decenni fa, gli effetti del cambiamento climatico erano considerati come problemi che si sarebbero verificati in un futuro relativamente lontano; ma in realtà il lento, ma ormai inesorabile, mutamento dell’equilibrio climatico globale iniziava già a manifestare i primi effetti.
Oggi, con il verificarsi di fenomeni atmosferici avversi di maggior entità e frequenza rispetto al passato, è indispensabile, attraverso le politiche di sviluppo energetico disciplinate dal Green New Deal europeo, ridurre drasticamente le emissioni inquinanti; affinché possano essere ridotti gli effetti negativi delle emissioni dei gas serra nell’atmosfera, limitando l’aumento della temperatura media globale.
Attraverso i dati raccolti dal programma di ricerca condotto nell’Artico, è stato possibile, mediante l’elaborazione con opportuni modelli climatici, prevedere che nel prossimo decennio l’aumento della temperatura media globale provocherà lo scioglimento completo dei ghiacciai marini durante i mesi estivi.
Ciò avrebbe un duplice effetto negativo sull’equilibrio climatico mondiale, se da un lato, lo scioglimento completo dei ghiacciai marini determina durante i mesi estivi, l’assenza di superfici bianche in grado di riflettere la radiazione solare limitando l’aumento della temperatura media globale; dall’altro, lo scioglimento di grandi masse ghiacciate provocherebbe l’aumento del livello dei mari.
Inoltre, nei mesi estivi, lo scioglimento dei ghiacciai marini sarà responsabile di un aumento notevole della superficie degli oceani.
Le ampie masse di acqua che formano gli oceani, rispetto alle acque ghiacciate che costituiscono la superficie dei ghiacciai, hanno un colore notevolmente più scuro; il che renderebbe gli oceani enormi superfici in grado di captare e assorbire enormi quantità di radiazione solare, aumentando la temperatura delle acque oceaniche.
La fusione del permafrost:
Il permafrost è lo strato di terreno permanentemente ghiacciato, presente in alta montagna o in prossimità dei poli.
In base alle latitudini e alle condizioni climatiche, la superficie del permafrost può variare notevolmente sia in estensione, sia nello spessore, variando da pochi centimetri a diversi metri.
Mentre in alcune zone del globo lo strato di permafrost si forma durante i mesi invernali, caratterizzati da temperature relativamente rigide, per poi fondere durante i mesi primaverili ed estivi; in altre zone, tipiche delle latitudini con temperature rigide come nell’Artico, lo strato di permafrost persiste durante tutto l’anno.
Con l’aumento della temperatura media globale, vaste zone geografiche nelle quali lo strato di permafrost non era sottoposto allo scioglimento durante i mesi estivi, iniziano a fondere.
Dalla fusione del permafrost sono rilasciate nell’atmosfera enormi quantità di gas Metano, che ossidandosi a contatto con l’Ossigeno, diventa Anidrite Carbonica; in quantità, stimata, pari a circa quattro volte l’Anidrite Carbonica immessa nell’atmosfera dall’inizio dell’epoca post-industriale fino ad oggi.
Gianni Truini