Via libera della Camera all’istituzione di una commissione inchiesta sul Covid-19. La bilaterale avrà il delicato compito di fare luce su diversi aspetti che hanno caratterizzato, in Italia, la gestione della pandemia. Questo, almeno, è l‘obiettivo di Fratelli d’Italia che, con il voto di ieri, mantiene la promessa fatta agli elettori durante la campagna elettorale della scorsa estate. Pd e Cinque Stelle, tuttavia, non sono dello stesso avviso. Per le principali forze di opposizione l’istituzione della commissione di inchiesta sulla pandemia ha l’aspetto di un vero e proprio tribunale politico, il cui unico fine è processare i principali protagonisti di quei giorni: Giuseppe Conte e Roberto Speranza.
Commissione d’inchiesta Covid, Zullo (FdI) a TAG24: “Chi è in buona fede non ha da temere”
Al termine di una seduta piuttosto accesa, ieri la maggioranza ha approvato – con il sì anche di Italia viva e Azione – l’istituzione della commissione sul Covid-19. La scelta del Governo di procedere con la bicamerale, annunciata da mesi, ha fatto però scoppiare l’ennesima aspra polemica tra maggioranza e opposizioni, le quali accusano il Governo di utilizzare la drammaticità di quei giorni come arma politica.
Particolarmente duro, in questo senso, Giuseppe Conte che, coinvolto in prima persona nei giorni dell’emergenza sanitaria, ha parlato di vero e proprio «plotone di esecuzione politico». Certo è che la bicamerale – che sarà composta da membri di tutti i partiti – avrà il compito di indagare su aspetti chiave come il mancato adeguamento del piano pandemico, le forniture di mascherine e l’efficacia delle misure di contenimento messe in atto nel nostro Paese.
Per comprendere il perché di questa bilaterale d’inchiesta, la redazione di TAG24 ha raggiunto il senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Sanità al Senato.
Senatore Zullo, perché è importante l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla gestione della pandemia da Covid-19?
“L’istituzione di questa commissione è necessaria perché questo tipo di pandemie sono sempre dietro l’angolo. Noi sappiamo che dovremo convivere con la possibilità di salti di specie di germi saprofiti, i quali possono trasmettersi all’uomo creando quadri sintomatologici nuovi rispetto al passato. La commissione di indagine serve a capire se siamo pronti ad affrontare, nel prossimo futuro, una nuova pandemia. Dobbiamo sapere se la nostra classe medica è preparata e se abbiamo nei nostri magazzini i dispositivi di protezione individuale necessari. Dobbiamo infine mettere in campo tutti gli interventi che riguardano la medicina preventiva.
Io ritengo normale e doverosa l’istituzione della bicamerale sulla gestione del Covid-19. Sappiamo bene infatti che l’Italia ha affrontato la pandemia in una situazione di impreparazione totale. È bene farsi trovare pronti per il futuro. Sento gli avversari politici – in primis Conte e Speranza – parlare di cose assurde. Ma se sono convinti di aver agito bene, allora mi chiedo perché il timore di una commissione di indagine”.
Dunque Lei smentisce l’ipotesi si tratti di una commissione «politica»?
“Se fosse una commissione politica sarebbe formata solo da membri del centrodestra o di Fratelli d’Italia. Invece si tratta di una commissione che sarà formata nei componenti di tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento. Non vedo cosa ci sia da temere”.
Per quale motivo è stato escluso, dall’ambito di indagine, l’operato delle Regioni?
“Perché si allargherebbe molto il campo di partecipazione alla Commissione. Fare dei consessi molto ampi rende difficile arrivare alla sintesi. Anche perché c’è un altro tema da affrontare. Nel periodo Covid ci sono stati una serie di interventi normativi che non sempre le regioni hanno osservato con puntualità. Alcune non hanno utilizzato razionalmente le risorse che erano assegnate. La commissione d’inchiesta dovrà valutare tutti questi elementi per capire dove e perché abbiamo sbagliato. L’obiettivo è essere preparati per il futuro”.
La sua collega Buonguerrieri ieri ha parlato della necessità di far luce anche sugli effetti avversi dei vaccini. Lei è d’accordo?
“Credo sia giusto. La sperimentazione dei farmaci come dei vaccini attraversa quattro fasi. Quando il vaccino viene somministrato significa che ha superato la terza fase. Ebbene, dopo questa, c’è la fase della segnalazione degli eventi avversi. Il nostro sistema ha purtroppo banalizzato la presenza di sintomi, anche lievi, che potrebbero essere legati ai vaccini. Questo accade sia per la carenza del nostro personale medico, sia perché possono presentarsi sintomi che poi sfumano. La verità però è che le persone hanno avuto e hanno timori circa i possibili effetti del vaccino.
La segnalazione degli eventi avversi, però, è una fase cruciale nell’introduzione di una nuova molecola di farmaco o vaccino perché spinge i ricercatori a rivedere le fasi che hanno preceduto l’autorizzazione al commercio. Si tratta di un tema non legato solamente al vaccino per il Covid-19. Gli obblighi legati alla farmacovigilanza risentono infatti anche di altre criticità, come quella legata alla carenza dei medici”.
Lei è un medico. Crede che il nostro Paese abbia imparato la lezione appresa nel periodo del Covid-19?
“Io credo l’Italia abbia appreso la lezione. Altrimenti saremmo davvero un Paese di ottusi, e non voglio crederlo. Il problema è intervenire per rivoluzionare il sistema. È chiaro che si tratta di un qualcosa che richiede tempi medio lunghi, ma è necessario. Rivoluzionare il sistema significa spostare l’asse degli investimenti sulla prevenzione primaria – ovvero quella vaccinale – e su quella secondaria, ovvero sulla capacità di fare diagnosi precoci delle patologie. È chiaro però che per raggiungere questi risultati non possiamo avere liste d’attesa così lunghe.
Allo stesso tempo occorre riorganizzare le attività degli ospedali per fare fronte alla carenza di medici. Io penso che gli ospedali debbano essere riorganizzati in senso dipartimentale, così da potenziare l’uso flessibile delle risorse di tutte le strutture che afferiscono a un determinato dipartimento. Mi spiego meglio: le discipline equipollenti o affini non devono più funzionare a compartimenti stagni, ma come un unico dipartimento in grado di usare tutte le risorse in modo flessibile. Se le forze in campo sono quelle che vediamo, allora ci deve riorganizzare per rispondere alle esigenze dei cittadini. Si tratta di un vero cambio di paradigma”.
Cosa dovremmo fare, invece, per fronteggiare la carenza dei medici?
“Anche in questo caso serve un intervento di medio lungo periodo. Io farei un’alleanza tra tutti i medici, al di là del limite della pensione o delle divisioni tra pubblico o privato. Dobbiamo mettere in campo più forze possibili. Servono accordi e programmi con i privati per raggiungere il fine ultimo della tutela della salute, senza guardare a chi lavora nel pubblico e chi nel privato. Serve poi la riorganizzazione dipartimentale che le dicevo, e per questo occorre agire in sintonia con il ministero dell’Università. Oltre al numero chiuso, dobbiamo potenziare la rete formativa delle Università attraverso convenzioni che si allarghino a tutte le strutture sanitarie esistenti sul territorio, così da aumentare il numero dei discenti”.