Sono stralci del dramma del mare quelli che emergono dalle parole di alcuni volontari della Open Arms, costituiti teste di parte civile nel processo contro Matteo Salvini per aver negato, nell’agosto del 2019, il legittimo attracco di una nave della Ong catalana al porto di Lampedusa.

L’imbarcazione aveva recentemente tratto in salvo tre gruppi di profughi, tutti in condizioni di salute precarie dopo il viaggio nel Mediterraneo e ammassati in una condizione di profondo sovraffollamento nella nave di Open Arms che doveva portarli in tempi brevi in un porto sicuro.

Ma le maglie della politica italiana avevano deciso diversamente: Matteo Salvini, allora Ministro dell’interno, aveva negato l’attracco ad Open Arms, lasciando i migranti appesi ad un filo di speranza e disperazione per 5 giorni. Questi fatti valgono oggi a Salvini le accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio.

Processo Open Arms-Matteo Salvini: “Nella barca non avevamo acqua, molti avevano la scabbia e c’era una situazione di isteria generale”

Nell’aula del tribunale di Palermo si cerca di ricostruire la condizione in cui versavano i migranti mentre Palazzo Chigi si rifiutava di accoglierli al porto agrigentino, si mettono insieme i pezzi del puzzle attraverso le testimonianze di chi c’era per farsi un’idea del quadro generale.

Prende la parola Francisco Gentico, uno dei volontari dei Open Arms, che parla di una «condizione fuori controllo, con soli due bagni per centinaia di persone»:

Finchè avevamo a bordo 120 persone la situazione tutto sommato era sotto controllo, poi con l’ultimo salvataggio le cose si fecero difficili. Per fare un po’ d’ombra avevamo messo una copertura di plastica che ovviamente non proteggeva dal calore. Quando poi il mare era mosso i migranti si bagnavano. Avevamo poca acqua che cercavamo di tenere da parte per berla, soprattutto non sapendo quando saremmo rimasti in mare.

Racconta il volontario, costituitosi parte civile nel processo contro Matteo Salvini. Quando la nave ha fatto rotta verso Lampedusa, racconta Gentico, le persone a bordo hanno festeggiato: vedevano la fine di un incubo, ma ancora non sapevano che sarebbero rimasti bloccati in quella imbarcazione per altri 5 lunghi giorni, intrappolati tra la speranza di veder coronato il loro sogno di un nuovo inizio e la paura di essere rispediti in Libia.

Così il volontario parla dei 5 giorni in mare davanti alle coste di Lampedusa:

Nel frattempo a bordo col passare del tempo le condizioni fisiche e psichiche delle persone cominciarono a peggiorare. Alcuni avevano la scabbia e tutti erano disperati perché non potevano scendere e comunicare con le famiglie. Addirittura a uno fu fatto il funerale perché i parenti temevano fosse deceduto.

Open Arms: “Le persone a bordo ci hanno detto di avere subito torture, violenze sessuali e schiavitù”

Il racconto di Gentico prosegue parlando del tentativo di alcuni migranti di raggiungere a nuoto la vicina Lampedusa, mentre gli altri protestavano facendo sciopero della fame, nonostante le loro condizioni precarie. Erano stati gli stessi volontari, in quell’occasione, ad intervenire per far desistere i profughi dalla loro protesta silenziosa, che probabilmente li avrebbe uccisi:

Alcuni cercarono di fare uno sciopero della fame anche se noi tentavamo di dissuaderli visto che le loro condizioni erano precarie. Vedendo la terra vicina poi in quattro si buttarono in acqua per raggiungerla a nuoto. Quando li riportammo a bordo gli altri hanno cominciato a picchiarli. C’era una situazione di isteria, eravamo fuori controllo. Temevano di essere riportati in Libia.

Poi aggiunge anche:

Le persone a bordo ci hanno detto di avere subito torture, violenze sessuali e schiavitù. Una famiglia composta da nonna, mamma e figlia e due sorelle ha raccontato che una di loro ha chiesto di essere violentata dai torturatori di un centro in Libia per impedire che venissero stuprate le altre. Per questo avevano paura di essere portati indietro dalla Guardia costiera libica. Alcuni avevano ferite da arma da sparo.