Il killer di Chiara Gualzetti non avrebbe mostrato, nel tempo, alcun segno di pentimento, non solo nei confronti della vittima, ma anche dei suoi familiari. Per questo, secondo i giudici della sezione minorenni della Corte d’Appello, dovrà scontare la pena di 16 anni di carcere inflittagli in primo grado. Una sentenza che non lascia spazio ai dubbi, le cui motivazioni sono state rese note a poche ore di distanza dal funerale della madre della vittima, morta dopo aver combattuto a lungo contro una malattia.
Sono sicuro che ora sia di nuovo con Chiara. Non ho parole. Continuo a dire che mi sembra di vivere un incubo,
aveva dichiarato il marito, Vincenzo, nel dare la notizia.
“Nessun pentimento da parte del killer di Chiara Gualzetti”: le motivazioni dei giudici della Corte d’Appello
Nei mesi trascorsi in carcere, il killer di Chiara Gualzetti, la 15enne uccisa a Monteveglio, in provincia di Bologna, il 27 giugno del 2021, non si sarebbe mai mostrato pentito non solo nei confronti della vittima – alla quale avrebbe riservato “parole spregevoli” -, ma anche dei suoi genitori, continuando ad incolpare dell’accaduto il demone che, secondo lui, l’avrebbe spinto a compiere il delitto. Per questo i giudici della Corte d’Appello hanno deciso che non ha diritto a sconti di pena. Come previsto dalla condanna di primo grado, dovrà quindi trascorrere in carcere 16 anni e quattro mesi.
Stando alle motivazioni dei giudici, che hanno confermato la sentenza emessa dalla Corte d’Assise, Andrea Iavarone, che ha compiuto 18 anni il 20 marzo di quest’anno, avrebbe messo in atto, in pratica,
un tentativo di deresponsabilizzazione con modalità ed escamotage che gli hanno permesso di distaccarsi dal reato.
Una cosa resa ancor più grave dal fatto che il presunto demone da cui sarebbe stato guidato nell’omicidio sarebbe comparso nella sua mente solo pochi giorni prima del delitto, quando
aveva fatto ricerche su Google per cercare nomi da dargli.
Dopo essersi accanito con crudeltà contro la sua vittima, prendendola a calci dopo averla accoltellata (e lamentandosi con un’amica del dolore al piede), avrebbe tentato di depistare le indagini, fornendo una versione dei fatti alternativa a quella reale – poi accertata in sede di dibattimento – e, anche in carcere, avrebbe continuato a mostrare un atteggiamento di supponenza.
La notizia arriva a pochi giorni dalla morte della madre della vittima
Iavarone era stato condannato con l’accusa di omicidio pluriaggravato. Le motivazioni dei giudici d’Appello sono arrivate a pochi giorni dalla celebrazione del funerale della madre di Chiara, morta a causa di una malattia dopo una lunga battaglia. Lei e il marito non si sono mai arresi, adoperandosi affinché fosse fatta giustizia per la brutale uccisione della figlia.
I fatti risalgono al 2021. Chiara avrebbe dovuto compiere 16 anni da lì a un mese quando, dopo essere stata attirata in una trappola, fu colta di sopresa dal suo amico e presa a coltellate, per poi essere finita a calci e pugni. Il suo corpo venne ritrovato in un parco poco lontano dalla sua abitazione, a Monteveglio. Nonostante i suoi tentativi di depistaggio (sia nei confronti dei genitori della vittima che delle autorità), Iavarone era stato presto tratto in arresto.
Confessò quando le dinamiche del delitto erano già state ricostruite, dicendo di aver agito sulla base di una spinta “superiore”, un demone che gli avrebbe detto di uccidere la ragazza che, secondo lui, avrebbe voluto morire. Nonostante la condanna, non ha mai fatto un passo indietro.