La riforma pensioni potrebbe nascondere un colpo basso per diverse categorie di lavoratori, non a caso si sta discutendo del possibile ritorno della legge Fornero e le preoccupazioni legate al mancato rinnovo delle condizioni che permettono di anticipare la pensione con requisiti agevolati.  Analizziamo nel dettaglio i numeri della riforma pensioni del governo Meloni e, soprattutto, vediamo insieme chi rischia di perdere fino a 5 anni di pensione.

Pensioni: chi rischia di perdere fino a 5 anni di pensione?

Il confronto con tra governo Meloni e parti sociali non è iniziato con il piede giusto. Le parti sociali sono molto insoddisfatte, deluse dall’assenza di una vera programmazione per il futuro previdenziale italiano.

D’altra parte, ci sono molte misure in scadenza il 31 dicembre 2023, oltre alla necessità di riformare un sistema che non offre grandi opportunità, se non il ritorno ai requisiti previsti nella legge Fornero.

È necessario considerare i numeri che potrebbero ostacolare qualsiasi intervento sul nascere destinato alla riforma pensioni.

Secondo numerosi esperti, la spesa previdenziale programmata nel lungo periodo aumenterà progressivamente, attestandosi a circa 65 miliardi di euro entro il 2026, a causa dell’invecchiamento della popolazione italiana.

 Il governo Meloni dovrebbe mantenere gli impegni assunti, confermando le “promesse” fatte per garantire una maggiore flessibilità nell’uscita dal mondo del lavoro per i lavoratori, riformando il sistema previdenziale italiano, revisionando il quadro delle pensioni e rivalutando vecchie e nuove proposte.

Alla fine della fiera, c’è il rischio concreto che la riforma pensioni salti, così come diversi interventi previsti nella Manovra 2024.

In sostanza, i lavoratori dovranno dire addio al ripristino dei requisiti di Opzione donna, all’introduzione della Quota 41 per tutti e a molte altre proposte.

Ancora una volta, sono i lavoratori che dovranno rinunciare alla possibilità di scegliere se anticipare il percorso pensionistico o rimanere al lavoro per accumulare un’anzianità contributiva sufficiente a garantire almeno un assegno pensionistico dignitoso.

Quanti anni di contributi servono alle donne per la pensione anticipata?

Per l’accesso alla pensione Opzione donna servono almeno 35 anni di contributi, perfezionati entro il 31 dicembre 2022.

Tuttavia, uno degli interventi attesi nella riforma pensioni riguarda proprio le lavoratrici. Molte sperano nel ripristino dei vecchi requisiti per l’accesso alla pensione anticipata.

Secondo diverse indiscrezioni, il governo Meloni  potrebbe introdurre un meccanismo simile all’anticipo pensionistico Ape sociale.  In altre parole, non è esclusa l’introduzione dell’Ape Rosa nella Manovra 2023.  

Anche in questo caso, sono le lavoratrici a pagare il prezzo più alto, con requisiti inaccessibili per una pensione anticipata e con prospettive previdenziali future scarse, se non nulle.

Chi rischia di perdere la pensione?

Il governo Meloni dovrebbe affrontare diverse questioni previdenziali urgenti e irrinviabili. È imminente la risoluzione del problema del possibile scalone di Quota 103, che si ripresenta nella stessa situazione di Quota 100.

Senza la proroga della misura in scadenza al 31 dicembre 2023, molti resteranno intrappolati nel limbo degli esodati, specialmente considerando che coloro che andranno in pensione entro la fine dell’anno, si colloca in quiescenza a 62 anni di età e 41 anni di contributi.

I nati nel 1961, con una carriera lavorativa non interrotta, potranno andare in pensione con Quota 103.  

Coloro che, pur avendo accumulato una lunga carriera lavorativa, non rientrano in questo rodaggio anagrafico dovranno lavorare fino al 2025 per raggiungere i requisiti necessari per la pensione anticipata ordinaria, che prevedono un accumulo contributivo di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e di 41 anni e 10 mesi per le donne.

Tali requisiti, a partire dal 2026, saranno soggetti all’adeguamento dell’aspettativa di vita calcolato dall’ISTAT.

Il discorso funziona per coloro che sono costantemente impegnati in un’attività lavorativa o sta concludendo la loro carriera lavorativa. Tuttavia, questa situazione non è così favorevole, per coloro che sono esclusi da mercato del lavoro o che faticano a trovare un’occupazione stabile.

D’altra parte, l’assenza dei requisiti sanitari non permette neanche di accedere a forme agevolate di pensionamento. Per questo motivo, in molti rischiano di trovarsi senza stipendio o pensione fino a 67 anni di età, a condizione che risultino accumulati fino a 20 anni di contributi.

Quando si perde il diritto alla pensione?

Secondo quanto riportato da Investireoggi.it, il problema riguardante gli italiani nati nel 1961 è legato alla possibilità di rientrare o meno nella misura Quota 103.

Infatti, coloro nati nel 1962 non rientrano nei requisiti previsti per l’accesso alla pensione con la formula ibrida di Quota 41 e potrebbero dover aspettare più di 5 anni per poter andare in pensione.

A complicare ulteriormente la situazione degli italiani potrebbe essere l‘assenza della proroga dell’anticipo pensionistico Ape sociale e la mancata cristallizzazione del diritto alla pensione.

La cristallizzazione del diritto alla pensione consente a coloro che raggiungono i requisiti per accedere alle pensioni in quote, come ad esempio Quota 100, 102 e 103, di poter scegliere quando e come andare in pensione, indipendentemente dai termini stabiliti dalla misura stessa.

In altre parole, coloro che hanno raggiunto i requisiti per Quota 100 entro i termini previsti dalla legge possono andare in pensione con tale formula previdenziale nel 2024, 2025, 2026 e così via.

Purtroppo, tale beneficio non si applica all’Ape sociale, quindi coloro che raggiungono i requisiti entro i termini ma non presentano la richiesta per accedere al beneficio, se la misura non viene prorogata e i lavoratori non hanno presentato la domanda entro i termini, non possono più utilizzare questa formula agevolata.