Cos’è il licenziamento per giusta causa? Il lavoratore può opporvisi? Nel diritto del lavoro, il licenziamento è un’azione unilaterale eseguita dal datore di lavoro, che pone fine al rapporto di lavoro indipendentemente dalle intenzioni del dipendente. In Italia, quest’azione è regolamentata da diverse leggi, inclusa la Legge n. 604 del 15 luglio 1996 dello Statuto dei Lavoratori e la Legge n. 108 del 11 maggio 1990. Queste normative individuano diverse forme di licenziamento: per giusta causa, per giustificato motivo (soggettivo o oggettivo) e il licenziamento collettivo.

Licenziamento per giusta causa: cos’è e come funziona

Contrariamente alla credenza comune, l’assunzione di un dipendente non è un impegno incondizionato. La legge italiana, infatti, prevede la possibilità di licenziare un dipendente, purché sussistano motivi validi. Tuttavia, le ragioni del licenziamento non possono mai essere basate su capricci o preferenze personali del datore di lavoro.

È possibile licenziare un dipendente quando si verifica un’inefficacia totale nello svolgimento delle sue mansioni, a causa di incapacità fisica sopravvenuta, o quando il lavoratore risulta colpevolmente poco produttivo. Il licenziamento è anche previsto per gravi violazioni del contratto di lavoro o nel caso di crisi aziendale.

Uno dei casi di licenziamento previsti dalla legge italiana è il licenziamento per giusta causa, disciplinato dall’art. 2119 c.c. Questo articolo definisce le condizioni in cui sia il datore di lavoro che il dipendente possono interrompere il contratto di lavoro prima della scadenza del termine o senza preavviso.

La giusta causa è la più grave motivazione per un licenziamento. Essa si verifica in presenza di un inadempimento grave commesso dal lavoratore che compromette il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Questa condotta deve essere tale da non permettere la prosecuzione, neanche temporanea, del rapporto di lavoro.

Licenziamento per giustificato motivo: soggettivo e oggettivo

Il licenziamento per giustificato motivo, sia esso soggettivo o oggettivo, è un altro tipo di licenziamento previsto dalla legge italiana. Nel caso del giustificato motivo soggettivo, il licenziamento avviene a causa di una violazione contrattuale da parte del dipendente. Al contrario, il giustificato motivo oggettivo riguarda circostanze legate all’organizzazione dell’azienda, come la crisi aziendale, la cessione di rami d’azienda o l’introduzione di tecnologie che rendono superfluo il ruolo del lavoratore.

Differenze tra licenziamento per giusta causa e giustificato motivo

Mentre il licenziamento per giusta causa deriva da una violazione grave e immediata del contratto di lavoro da parte del dipendente, il licenziamento per giustificato motivo è legato a una condotta meno grave del lavoratore (giustificato motivo soggettivo) o a esigenze organizzative dell’azienda (giustificato motivo oggettivo).

In termini di conseguenze, la giusta causa comporta l’immediata fine del rapporto di lavoro senza preavviso, né indennità di preavviso. Invece, il licenziamento per giustificato motivo richiede un preavviso, o in mancanza di esso, un’indennità sostitutiva del preavviso.

Licenziamento collettivo

Il licenziamento collettivo è un tipo di licenziamento che riguarda un gruppo di lavoratori. È disciplinato dalla Legge n. 223 del 23 luglio 1991, ed è applicabile nei casi in cui un’azienda con almeno 15 dipendenti intende licenziare, in un periodo di 120 giorni, almeno cinque dipendenti per motivi non imputabili agli stessi, ma legati alla situazione economica, produttiva o organizzativa dell’azienda.

Il licenziamento collettivo richiede un procedimento complesso che prevede una fase di consultazione con le rappresentanze sindacali per cercare di ridurre il numero dei licenziamenti o di attenuarne le conseguenze, ad esempio attraverso la ricollocazione dei lavoratori all’interno dell’azienda o in altre aziende.

Licenziamento per giusta causa: criteri, esempi e leggi vigenti

Abbiamo detto che un licenziamento per giusta causa può essere effettuato se il datore di lavoro stabilisce che un lavoratore ha violato le condizioni contrattuali o ha infranto il rapporto di fiducia sul lavoro. Questa valutazione richiede la considerazione di vari aspetti, tra cui la natura del rapporto lavorativo, la posizione e le responsabilità del dipendente, l’intenzionalità del comportamento, i danni subiti dall’azienda, la personalità del dipendente, tra gli altri. Questa valutazione assicura che le circostanze di ogni caso siano tenute in considerazione, e se il lavoratore contesta il licenziamento, spetta al datore di lavoro dimostrare la giusta causa.

Casi comuni di licenziamento per giusta causa

Ci sono vari casi in cui si può applicare un licenziamento per giusta causa, tra cui:

  • Assenze ingiustificate che causano un danno significativo all’organizzazione aziendale.
  • Fornitura di falsi certificati medici.
  • Rifiuto di riprendere il lavoro dopo la malattia.
  • Lavorare per un’altra azienda mentre si è in malattia.
  • Insultare o attaccare fisicamente un superiore.
  • Agire in modo contrario agli interessi dell’azienda.
  • Diffamare l’azienda o i suoi prodotti.
  • Rifiutarsi di accettare un trasferimento senza una valida motivazione.
  • Furto di proprietà aziendale.

Le leggi italiane sul licenziamento

In Italia, le leggi sul licenziamento includono la Legge n. 604/1966 e l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970), che proteggono i lavoratori contro i licenziamenti illegittimi. Altre leggi includono la Legge n. 92/2012 (ovvero, la riforma Fornero) ed il D.lgs. n. 23/2015 (Jobs Act), che forniscono ulteriori protezioni e regolamenti. Queste leggi prevedono diversi tipi di protezione a seconda della dimensione dell’azienda e della data di assunzione del lavoratore.

In base alle leggi attuali, se un lavoratore contesta il suo licenziamento per giusta causa e il giudice stabilisce che il licenziamento era illegittimo, il datore di lavoro può essere obbligato a reintegrare il lavoratore, se l’azienda ha più di 60 dipendenti totali o più di 15 dipendenti per unità produttiva. Per le aziende più piccole, il datore di lavoro può essere tenuto a fornire un’indennità economica ma non è obbligato a reintegrare il lavoratore.

Cosa succede in caso di licenziamento illegittimo

La protezione legale è fornita anche in base alla data di assunzione del lavoratore. Se il lavoratore è stato assunto prima del 7 marzo 2015, ha il diritto di essere reintegrato e ricevere un indennizzo in caso di licenziamento illegittimo. Se il lavoratore è stato assunto dopo questa data, in caso di licenziamento illegittimo, l’azienda può essere obbligata a pagare un’indennità economica proporzionata agli anni di servizio del lavoratore, ma la reintegrazione non è garantita.

La reintegrazione è una delle possibili conseguenze dei licenziamenti illegittimi per le aziende più grandi, insieme al pagamento di un’indennità compresa tra 12 e 24 mensilità. Inoltre, i lavoratori hanno il diritto di ricevere i salari che avrebbero guadagnato se non fossero stati licenziati durante il periodo tra il licenziamento e la decisione del giudice.

Le aziende più piccole, come già detto, non sono obbligate a reintegrare i lavoratori licenziati illegittimamente, ma devono pagare un’indennità compresa tra 2,5 e 6 mensilità.

Tuttavia, è importante ricordare che queste leggi si applicano solo se il licenziamento è ritenuto illegittimo. Se il datore di lavoro può dimostrare che c’era una giusta causa per il licenziamento, queste protezioni possono non essere applicabili.

Come impugnare il licenziamento

Il licenziamento può essere impugnato entro 60 giorni dal suo ricevimento. Il lavoratore deve inviare una lettera all’azienda, affermando chiaramente l’intento di opporsi al licenziamento. Inoltre, dovrà presentare un ricorso presso l’ufficio del lavoro del tribunale competente entro 180 giorni dalla spedizione della lettera di contestazione. Una possibile alternativa è la richiesta di un tentativo di conciliazione all’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Il percorso della conciliazione

Se si sceglie la conciliazione, si possono verificare tre situazioni. L’azienda potrebbe non presentarsi, non riuscire a raggiungere un accordo con il lavoratore o raggiungere un accordo. A seconda dello scenario, ci sono passaggi legali specifici da seguire, che dipendono dal singolo caso.

Onere della prova e illegittimità del licenziamento

Il lavoratore che impugna il licenziamento deve fornire la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, del licenziamento e dell’allontanamento dal posto di lavoro. Se il licenziamento viene giudicato illegittimo, il lavoratore potrebbe ricevere un’indennità calcolata in base all’anzianità di servizio.

In presenza di un licenziamento illegittimo, discriminatorio o nullo, il Giudice del Lavoro può ordinare il reintegro del lavoratore e obbligare l’azienda a pagare un risarcimento. Inoltre, potrebbe essere prevista un’indennità basata sugli anni di servizio.

Licenziamento per giusta causa: spetta la Naspi?

In qualunque caso di licenziamento, ovvero di un procedimento contro cui il lavoratore non può fare nulla perché la decisione dipende non da lui, come nel caso delle dimissioni, ma dal datore di lavoro, spetta il diritto alla Naspi. Quindi, anche se avviene un licenziamento per giusta causa, spetta comunque il diritto a percepire il trattamento della Naspi.