Nei giorni scorsi, in occasione della presentazione di un libro, lo scrittore Marco Albino Ferrari, direttore editoriale e responsabile delle attività culturali del Club Alpino Italiano (CAI) aveva avanzato la proposta di non permettere più che si erigessero delle croci sulle cime delle montagne, come avvenuto per secoli, pur conservando le croci che da tempo si trovano su importanti vette come il Cervino. Ne parliamo con il prof. Ferri, che ha recentemente scritto un saggio, con il prof. Giuseppe Cricenti, su questo tema: “Alla ricerca della laicità perduta. Il crocifisso laico dei giudici italiani“, con la post-fazione di Mauro Barberis, in corso di stampa per le edizioni Fuorilinea.
Niente più croci sulle cime delle montagne
D: Professor Ferri, cosa pensa di questa proposta?
R: “La trovo molto ragionevole e in linea con i principi della nostra costituzione repubblicana, con i valori della democrazia laica e la realtà socio-culturale del nostro Paese che, come tutte le nazioni europee, è una realtà fortemente caratterizzata in senso laico, ma pure multiculturale e multi-religioso. In Italia, ad esempio, ci sono più di un milione e mezzo di musulmani e quasi mezzo milione fra buddisti e induisti”.
D: Le reazioni del mondo politico, soprattutto dei due maggiori partiti governativi, sono state di segno opposto. Salvini ha definito tale proposta una “sciocchezza che nega la nostra storia, la nostra cultura, il nostro passato e il nostro futuro”, mentre la Ministro del Turismo Santanchè ha dichiarato che “una simile decisione va contro i nostri principi, la nostra cultura, l’identità del territorio, il suo rispetto”, in quanto la croce è uno dei simboli che “custodiscono nel tempo la storia e i valori” del territorio e della comunità nazionale. Non è così?
R: “Francamente non so su quali fonti e su quale realtà storica si fondi questa sbrigativa storiografia ministeriale. L’Italia repubblicana e democratica nata sulle ceneri del Fascismo, si fonda su una Costituzione che concilia i valori di alcune tradizioni e culture dell’Italia moderna, come quella laica liberale, repubblicana e azionista; quella socialista e comunista, infine la cattolica. Lo stato italiano non è uno stato confessionale, non ha una religione di stato, riconosce e tutela il pluralismo religioso, quale che sia la religione che si professi, persino una religione satanica. Si tutela una credenza in quanto opinione delle persone, non per un suo presunto valore oggettivo, storico o culturale”.
D: Nel descrivere le basi politiche e culturali della Costituzione repubblicana lei non ha menzionato partiti o schieramenti di destra, che oggi governano.
R: “Lei è troppo giovane per ricordare che fino a qualche decennio fa, nelle cronache politiche, spesso si usava l’espressione ‘i partiti dell’arco costituzionale’, uno schieramento che escludeva il Partito Monarchico e il partito neo-fascista, il Movimento sociale Italiano, del quale il partito della Premier conserva il simbolo. Un partito monarchico non poteva accettare principi e valori di una repubblica; un partito erede del fascismo non poteva condividere i valori di una costituzione democratica, fondata sulla libertà e sull’uguaglianza”.
D: Un argomento più volte ripreso in questa polemica dai sostenitori della presenza dei crocifissi sul territorio nazionale è che esso sia un simbolo di amore, universalmente accettato e condiviso.
R: “Accettato e condiviso da chi? Non certo dai miliardi di credenti di altre religioni come l’induista e l’islamica; non certo dagli atei o dagli agnostici, o da quanti nel corso dei secoli sono stati uccisi e torturati da uomini che avevano sul petto o sugli scudi questo simbolo, che spesso non ha rappresentato solo un messaggio salvifico ultra terreno, ma pure una dottrina assolutistica imposta attraverso uno spietato e intollerante potere temporale”.
D: Non potrà negare, però, che la croce rappresenti un simbolo in cui si riconosce più di un miliardo di cristiani e che noi siamo una nazione cristiana da duemila anni.
R: “Se vediamo la croce come una rappresentazione della figura e della missione di Gesù Cristo, in particolare della sua passione e morte, dobbiamo ricordare che queste dimensioni furono uno dei principali motivi alla base dei contrasti fra cristiani, a partire dal Concilio di Nicea, che verteva sulla natura del Cristo nei suoi rapporti col Padre e, di conseguenza, anche sulla questione di chi fosse morto in croce: un Dio, un Uomo o entrambi. Ma la croce è stata per 1400 anni uno dei motivi di contrasto fra Cristianesimo e Islam, che dà un ruolo importante a Gesù come profeta, ma ne nega la morte in croce”.
D: Quindi lei sarebbe favorevole ad una politica di Cancel Culture?
R: Niente affatto. È una pratica intollerante ed escludente, che non riconosce la diversità. È stata, per secoli, la pratica del cristianesimo vincente, che ha cancellato letteralmente le altre culture e le altre religioni. Lei conosce un tempio pagano che è stato salvato dalla distruzione? Lei conosce un testo sacro Maja o Atzeco che ci è stato tramandato? O un’opera di Democrito o di Porfirio che è stata conservata? La cancel culture è stata la pratica delle religioni e delle ideologie totalitarie e intolleranti.
D: Lei, però, sembra negare a personaggi di spicco dell’attuale governo il diritto di esprimere le loro idee al riguardo, cioè di riconoscere il cristianesimo come la religione del popolo italiano e la croce un simbolo condiviso.
R: “Quelle critiche non mi sembrano innocenti idee, per giunta espresse spesso in termini persino aggressivi. In materia di libertà religiosa bisogna attenersi al dettato costituzionale e alle sentenze della Suprema Corte. In Italia solo una minoranza della popolazione è cattolica praticante. Ma se anche fosse la totalità della popolazione, non si potrebbero scegliere simboli religiosi di una corrente ed imporli a tutti. Vorrei ricordare pure, per non andare troppo lontano, che nella tradizione politica e culturale a cui FdI si richiama, è presente una forte componente neo pagana ed ostile al cristianesimo: basti ricordare, fra l’altro, la dottrina di Julius Evola, il filosofo che più di altri rappresentò per i giovani dell’estrema destra un riferimento culturale e politico, a partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo”.