Non si dà pace il fratello di Saman Abbas, la 18enne di origini pakistane uccisa a Novellara nella notte del 30 aprile 2021 per essersi rifiutata di prendere parte a un matrimonio combinato. A riportare il suo stato d’animo, in aula, è stata l’assistente sociale Antonella Longo, nel corso dell’ultima udienza del processo che a Reggio Emilia vede imputati con l’accusa di omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere i genitori di Saman, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen – ancora ricercata -, lo zio Danish Hasnain e i due cugini Nomanulhaq Nomanulhaq e Ikram Ijaz.

Omicidio di Saman Abbas, il dolore del fratello minore nelle parole di un’assistente sociale

Quando fu arrestato il padre Shabbar, disse che era giusto, perché deve rispondere di ciò che ha fatto. È ancora arrabbiato con lui, mentre ha parlato della madre come di una vittima di questa situazione.

Con queste parole, nel corso dell’ultima udienza del processo relativo all’omicidio di Saman Abbas, tenutasi ieri, 30 giugno, a Reggio Emilia, l’assistente sociale dell’Unione Comuni Bassa reggiana Antonella Longo ha riportato, davanti ai magistrati, lo stato d’animo del fratello minore della vittima che, nelle prossime settimane, dovrà a sua volta essere ascoltato in aula, secondo quanto richiesto dall’avvocato Liborio Cataliotti, che difende lo zio Hasnain, sospettato di essere l’esecutore materiale del delitto della 18enne.

Costituitosi parte civile tramite l’avvocata Valeria Miari, il giovane ha già reso nota, più volte, la sua versione dei fatti, accusando apertamente la sua famiglia per ciò che è accaduto. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, sarebbe stata la madre ad attirare Saman nella trappola, spingendola a tornare a casa (dopo che si era allontanata con il fidanzato, Saqib Ayub). Qui sarebbe stata “strozzata o strangolata” da uno o più uomini della famiglia, che ne avrebbero poi nascosto il corpo in una buca scavata nei pressi di un capannone abbandonato, a pochi metri di distanza dall’abitazione famigliare.

La testimonianza del comandante del Ris di Parma in aula

A condurre gli inquirenti sul luogo dove sarebbe stato ritrovato il corpo di Saman era stato lo zio, Danish. Secondo Giampiero Lago, comandante del Ris di Parma, la buca in cui la 18enne era stata sepolta era di dimensioni eccezionali.

La fossa era di dimensioni importanti per quanto riguarda la profondità, l’altezza dello scavo – ha dichiarato in aula -. Quando i colleghi si accorsero dei resti umani, era di un metro e mezzo. Aggiungendo lo spessore del cadavere e altri residui sottostanti, il livello era compreso tra un metro e mezzo e due metri.

Un elemento importante che, chiaramente, indica la premeditazione. Secondo l’accusa, a scavarla furono lo zio e i cugini di Saman, dopo aver preso accordi con i suoi genitori.

Abbiamo fatto un buon lavoro,

avrebbe poi scritto Danish Hasnain nella chat con la moglie, facendo riferimento all’occultamento del cadavere. L’uomo continua a dichiararsi innocente e, davanti agli inquirenti, ha sempre riferito di aver raggiunto il luogo della sepoltura della nipote solo in un secondo momento, a delitto già avvenuto, insieme ai due cugini di Saman. Entrambi, secondo quanto ha raccontato, avevano puntato il dito contro la madre, l’unica ancora latitante. Il suo sospetto è che, viste le dimensioni della buca, avrebbero voluto uccidere anche lui, forse per paura che parlasse, visto l’affetto che lo legava alla 18enne.

È una tesi che non sta in piedi, secondo chi lavora al caso. Tutti i familiari, fino ad ora, avrebbero provato infatti ad addossarsi a vicenda la responsabilità del delitto. L’ipotesi più accreditata, invece, è che abbiano agito in concorso.

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