L’Italia si conferma un Paese esportatore non solo di beni e servizi ma anche di capitale umano. Secondo un’elaborazione fatta da Il
Sole 24 Ore su dati ricavati da fonti varie (Istat, Almalaurea, Unesco, SVIMEZ), emerge che le persone italiane in possesso di
una laurea (conseguita in Italia o all’estero) che lavorano all’estero guadagnano il 41,8% in più rispetto a chi ha lo stesso lavoro in
Italia.
Ed è un fenomeno che neanche il Covid-19 è riuscito a invertire. Se è vero che durante la pandemia le partenze sono diminuite e i
rimpatri sono aumentati, è altrettanto vero che, nella fascia d’età 25-34 anni, il saldo migratorio delle persone con un titolo d’istruzione superiore in tasca, per noi, è stato negativo per circa 79mila unità.
Giovani e lavoro. La situazione nel mezzogiorno
C’è un secondo fattore di complessità, stavolta interno, da tenere a mente. E cioè che, mentre il Nord riesce a compensare le uscite con l’attrazione di giovani provenienti dal Mezzogiorno, il Sud si ferma alla perdita secca di talenti. Una doppia onda che mette alla
prova la tenuta dell’intero Paese, specialmente quando la fuoriuscita riguarda professioni a elevato valore aggiunto: medici, ingegneri, specialisti dell’Ict.
Alcuni dati
Nonostante l’emigrazione giovanile sia diminuita del 21% nell’ultimo anno censito (2021 su 2020) e sia calato della stessa misura anche il numero dei laureati espatriati nella medesima fascia di età, non si è ridotta invece la quota dei laureati sul totale dei giovani espatriati
che è rimasta stabile (dal 45,6% del 2020 al 45,7% del 2021). Con un saldo migratorio a sua volta in discesa, ma ancora fermo a 7mila unità nel 2021. Se dal particolare risaliamo al generale, torniamo ai 248mila laureati esportati nell’intero periodo 2012-2021 e li
confrontiamo anno su anno con il totale dei laureati (stavolta di fonte Mur), scopriamo che il loro peso percentuale sul totale fatica a ridursi. Nel 2012 è come se fosse partito il 5% di tutti i laureati, poi su fino all’8,9% del 2018 e di nuovo giù al 6,7% del 2021. Quasi due punti in più, quindi, di dieci anni fa.
Perché i giovani partono?
L’edizione 2022 di AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, che ha quantificato al 3,2% dei laureati di secondo livello quelli che lavorano fuori dai confini nazionali, individua nelle migliori opportunità offerte all’estero, soprattutto in termini di retribuzioni e prospettive di carriera gli obiettivi per espatriare. Uno dei motivi, secondo l’indagine, va ricercato in un minore utilizzo del lavoro autonomo che, a un anno dalla laurea, riguarda il 4,6% sui laureati emigrati (e il 13% di quelli rimasti); al tempo stesso risultano più diffusi i contratti a tempo indeterminato (51,8%, +27,6% rispetto al dato interno). Ma è inutile girarci intorno, anche la variabile retributiva ha il suo peso. Complessivamente, i laureati di secondo livello trasferitisi all’estero percepiscono, a un anno dal titolo, 1.963 euro mensili netti, +41,8% rispetto ai 1.384 euro che incasserebbero in Italia. Più passa il tempo più la forbice si allarga tant’è che, a cinque anni dalla laurea, fuori vengono incassati in media 2.352 euro (+47,1% rispetto ai 1.599 euro medi italiani).
Federico Luciani