A poco più di due anni dalla morte di Luana D’Orazio, la 22enne di Prato rimasta uccisa mentre lavorava in una fabbrica tessile, il fidanzato, Alberto Orlandi, ha lanciato sui social un appello affinché non si dimentichino “lei e gli altri morti sul lavoro”. La campagna, accompagnata dall’hashtag #tusorridisorridisempre, consiste nel pubblicare una foto qualunque della giovane vittima sui social il 30 giugno.
Luana D’Orazio, morta in fabbrica a 22 anni: al via una compagna social organizzata dal fidanzato
L’occasione è l’imminente compleanno di Luana, che il prossimo 30 giugno avrebbe compiuto 25 anni. Se ne è andata a 22, lasciando un figlio di 5, ora affidato alle cure dei nonni, poco prima di compierne 23, a causa di un incidente sul lavoro. Stava svolgendo un apprendistato professionale presso una ditta tessile di Montemurlo, in provincia di Prato, quando fu inghiottita e stritolata da un macchinario che, secondo quanto emerso dalle indagini, era stato appositamente manomesso per velocizzare i movimenti degli operai, aumentando il profitto.
Per la vicenda hanno patteggiato la pena i due titolari dell’azienda, Luana Coppini e Daniele Faggi, condannati a due anni e un anno e sei mesi di reclusione (con sospensione condizionale), a fronte del risarcimento delle parti lese, fissato a 1 milione di euro. Eppure è come se giustizia non fosse ancora stata fatta, visto che, nonostante il caso possa essere considerato giuridicamente “chiuso”, il ricordo di quanto accaduto è ancora vivo nella memoria di tutti e fa male. L’obiettivo della campagna lanciata sui social dal fidanzato di Luana, Alberto Orlandi – che consiste nel pubblicare una foto qualunque della 22enne in occasione del suo compleanno -, è quello di non dimenticare lei e chiunque altro sia morto sul luogo di lavoro.
Il problema fondamentale non sono le aziende che lavorano senza sicurezze, bensì lo Stato, che permette tutto ciò e non dà modo che ci sia una giustizia, perché conviene più far morire un dipendente che far chiudere un’azienda. I numeri parlano chiaro, nel 2021 ci sono stati 1.404 morti sul posto di lavoro, se tutte queste morti avessero avuto una giustizia vera, 1.404 aziende per forza di cose sarebbero chiuse, e invece niente, andiamo avanti come se nulla fosse successo,
spiega il ragazzo nella didascalia del breve video pubblicato online. E aggiunge:
Penso sia arrivata l’ora di dire basta a tutto ciò, chi sbaglia deve pagare. A chiunque sia disposto ad aiutarmi chiedo di perdere pochissimi secondi per condividere questo video, e il 30 giugno, fare una storia, prendendo una foto qualsiasi di Luana dal suo profilo, usando l’hashtag #tusorridisorridisempre, e taggando anche me, così ho la possibilità di poter ricondividere e poter ringraziare ognuno di voi. È una battaglia molto difficile da portare avanti, ma insieme ce la possiamo fare.
L’introduzione del reato di omicidio sul lavoro
Lo scorso maggio, in occasione del secondo anniversario della morte di Luana, la madre, Emma Marazzo, aveva messo in luce la necessità di introdurre, nel nostro ordinamento, il reato di “omicidio sul lavoro”. Un modo per tutelare i lavoratori in caso di tragedie come quella che ha coinvolto sua figlia e fare giustizia, supportando i familiari. “Si deve smetterla di chiamarli incidenti sul lavoro”, aveva detto al Corriere della Sera, sottolineando che Luana, in quanto apprendista, avrebbe anche dovuto essere affiancata da un operaio e non lasciata da sola.
Per la sua morte, dopo il patteggiamento dei due titolari dell’azienda, è rimasto imputato nel processo con rito ordinario solo Mario Cusimano, il manutentore esterno della ditta in cui Luana lavorava, che avrebbe dovuto mettere in sicurezza il macchinario che, il 3 maggio del 2021, le ha strappato la vita.