Ai lavoratori dipendenti spetta l’indennità di malattia per un periodo di 180 giorni durante l’anno solare: superato questo periodo massimo, la malattia non è retribuita. L’Inps e il datore di lavoro, infatti, dopo i 180 giorni complessivi, ovvero dopo 6 mesi, non retribuiscono più le assenze.

Quello di pensare che in un rapporto di lavoro subordinato la malattia venga sempre retribuita è un errore fin troppo comune. È necessario comprendere una differenza molto importante tra i periodi di malattia di tre giorni, 180 giorni e quelli successivi.

Regole e disposizioni sono anche relative ai contratti collettivi di appartenenza, ma l’Inps interviene indennizzando le assenze per malattia solo nei 180 giorni successivi al terzo di giorno di malattia. Se la malattia è a cavaliere dell’anno successivo, nell’anno nuovo spettano altri 180 giorni di indennizzo.

Spieghiamo meglio come funziona l’indennità per malattia e soffermiamoci sui casi in cui l’assenza di malattia non viene retribuita.

Assenza per malattia, ecco quando non viene più pagata

L’indennità di malattia viene riconosciuta ai lavoratori dipendenti quando un evento determina l’incapacità temporanea di recarsi al lavoro e svolgere le proprie mansioni. Nella maggior parte dei casi, la malattia viene pagata dall’Inps ed è pari al:

  • 50% della retribuzione media giornaliera, a partire dal 4° giorno a 20° giorno di assenza;
  • 66,66%, a partire dal 21° giorno al 180° giorno di assenza.

I primi 3 giorni sono al 100% a carico del datore di lavoro, ovviamente solo quando è previsto dal contratto collettivo di lavoro di appartenenza. L’Inps, invece, paga l’indennità nel periodo successivo, ma sempre entro alcuni limiti.

La misura dell’indennità dipende dai contratti. In molti casi, viene stabilito che al lavoratore spetta il 100% e, quindi, lo stipendio pieno. In molti altri casi, vengono stabilite percentuali più basse.

Sono molto meno frequenti i contratti di lavoro che stabiliscono che la malattia venga indennizzata anche dopo il periodo di 180 giorni. Tuttavia, è un caso molto poco frequente ed è più probabile che al raggiungimento di questo limite la malattia non venga più pagata.

Anzi, bisogna tenere ben presente che al superamento di questa soglia si potrebbe anche rischiare di perdere il posto di lavoro. Infatti, superata la soglia del periodo di comporto si rischia davvero di perdere il posto di lavoro.

Cos’è il periodo di comporto e qual è il legame con le assenze per malattia

Il periodo di comporto viene individuato dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Cos’è il periodo di comporto? Si tratta di quel periodo in cui il lavoratore dipendente assente dal posto di lavoro per malattia non può essere licenziato. In quel periodo non può essere licenziato al di là del fatto che abbia diritto o meno a ricevere l’indennità.

Il suddetto periodo può anche essere coincidente con i 180 giorni che vengono indennizzati dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Ma, in alcuni casi, può anche avere una durata maggiore. Pertanto, il lavoratore, pur assente, ha diritto alla conservazione del posto di lavoro.

In alcune tipologie di contratti è anche prevista l’aspettativa per malattia, ovvero uno strumento che permette di allungare ulteriormente i limiti temporali del periodo di comporto senza rischiare il licenziamento. Spesso, sono periodi molto lunghi, ma quasi sempre si tratta di un periodo ulteriore non retribuito.

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