Una “nuova”, “terribile” ingiustizia, quella denunciata da Mediterranea Saving Humans sul caso di Harry, nome di fantasia attribuito ad un migrante sudanese vittima di “respingimento illegale“. Una vicenda che vede il giovane vincitore della causa contro il governo italiano: la giustizia gli ha dato la facoltà di “presentare domanda di protezione internazionale in Italia”.
Contestualmente, i magistrati impongono “alle amministrazioni competenti di emanare tutti gli atti ritenuti necessari a consentire il suo immediato ingresso nel territorio dello Stato italiano”. Una storia a lieto fine, quella da raccontare per il JLProject, progetto di Mediterranea Saving Humans che segue da anni il ragazzo anche sul piano legale.
Se non fosse che l’ambasciata italiana “non risponde” alle richieste dei suoi legali. Ignorando, di fatto, la sentenza di un giudice. Una faccenda che lascia allibiti i volontari di JLProject, che seguono il caso dal 2019.
Harry è in Libia da troppi anni, ha visto morire amiche e amici, in mare, nei lager libici e anche a casa sua in Sudan. Ha sofferto la fame, la sete, non ce la fa più. E’ stato illegalmente deportato in Libia da una nave italiana, la Asso Ventinove, su ordine del Governo italiano. Un gigantesco (276 tra uomini, donne e bambini) respingimento, avvenuto in segreto, per nascondere l’illecito agli occhi del mondo.
“Respingimento illegale” del migrante sudanese Harry, l’appello al governo all’ “immediato rilascio” dei documenti
Dopo aver “trovato le prove della illegalità” del respingimento, insomma, Harry “potrebbe festeggiare la straordinaria vittoria legale, tanto agognata, contro la terribile ingiustizia del respingimento illegale che ha subito”. Ma chi difende il giovane sudanese sottolinea come l’ambasciata italiana a Tripoli non abbia risposto alle due diverse Pec inviate.
La sentenza è esecutiva e Harry ha il diritto di prendere un aereo di linea da Tripoli per Roma. Ma purtroppo non ha il passaporto, condizione comune alla maggioranza dei rifugiati (le guardie dei lager libici rubano soldi e documenti ai detenuti). Ha solo il documento Unhcr (status di rifugiato), che, però, non è un titolo di viaggio.
La palla passa ora al governo italiano, al quale il JLProject chiede “l’immediato rilascio dei documenti di Harry”. L’augurio è che “le ingiustizie continue subite da questo e da tanti altri uomini, donne e bambini in Libia cessino una volta per tutte”.
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