L’incendio dell’auto in cui sono stati trovati i resti carbonizzati di Alice Neri, la giovane mamma morta a Fossa di Concordia, nel Modenese, lo scorso novembre, sarebbe stato innescato da benzina e non, come si era ipotizzato all’inizio, dall’olio lubrificante riscontrato su diversi reperti. A metterlo in luce sono i primi risultati emersi dai nuovi accertamenti tecnici disposti dalla Procura per chiarire le dinamiche dell’omicidio e le responsabilità del principale indiziato, il 29enne di origini tunisine Mohamed Gaaloul. Si cerca, intanto, il telefono cellulare della vittima, mai ritrovato. Per il momento senza successo.

Omicidio Alice Neri, i primi risultati dei nuovi accertamenti tecnici: per appiccare il rogo è stata usata la benzina

Stando a quanto emerso dai nuovi rilievi, il rogo sarebbe stato appiccato con l’uso della benzina e non dell’olio lubrificante rinvenuto in una tanica nei pressi del luogo dove, lo scorso novembre, il corpo di Alice Neri fu trovato, semi-carbonizzato, all’interno del bagagliaio di una Ford Fiesta. Chi l’ha uccisa, quindi, aveva con sé della benzina. E con questa avrebbe cosparso l’auto con all’interno il corpo della vittima.

Non è escluso che prima le abbia fatto del male. Per questo, negli scorsi giorni, mentre erano impegnati nella ricerca del telefono cellulare della giovane mamma (mai ritrovato) in dei laghetti nei pressi del luogo del ritrovamento del cadavere, gli inquirenti avrebbero cercato anche le tracce di un’eventuale arma usata dall’assassino. Per ora senza risultati. A farlo sapere è il Resto del Carlino.

A fare luce su come sia davvero morta la 32enne saranno i risultati della nuova autopsia disposta dalla Procura, ma anche quelli dei nuovi accertamenti effettuati dai periti su una serie di reperti, tra cui proprio la tanica di olio esausto che, secondo alcuni testimoni, si vedrebbe anche in un video in cui compare Gaaloul, nel corso di una grigliata tra amici, il giorno prima del delitto. Su di essa, infatti, erano state trovate delle tracce riconducibili all’indagato. Tracce che però, secondo la consulente nominata dalla difesa, la genetista forense Marina Baldi, non sarebbero sufficienti ad incolpare il 29enne.

Con dieci campioni su 23 (quelli sovrapponibili a Gaaloul, ndr), su quella tanica può esserci il Dna di chiunque. È poco dal punto di vista biostatistico – ha spiegato -. Stessa situazione per i gancetti del reggiseno della vittima, dove sembrerebbe essere possibile la presenza di Dna riferibile ad altre persone. A mio avviso sui reperti analizzati fino ad ora non ci sono tracce indicative (della colpevolezza dell’indagato, ndr). Non vedo un quadro accusatorio confermato dai risultati delle analisi.

È ciò che aveva messo in luce anche il legale che lo difende, l’avvocato Roberto Ghini, parlando di “tracce molto degradate”, “miste” e quindi “riferibili a soggetti diversi”.

Ciò che è stato ricostruito finora

Secondo gli inquirenti però, Gaaloul sarebbe l’ultimo ad aver visto viva la donna. L’avrebbe conosciuta all’interno del locale in cui lei si era recata in compagnia di un amico, a Fossa di Concordia, la sera del delitto, chiedendole addirittura un passaggio in auto. Alcuni suoi connazionali avevano poi riferito di averlo incontrato, la mattina dopo, con dei pantaloni sporchi di olio, attualmente al vaglio degli esperti insieme agli altri reperti.

Gli esiti di quanto scoperto saranno resi noti nel corso della prossima udienza, fissata per il 4 luglio. In quell’occasione, a seconda del parere dei periti, gli inquirenti potranno capire quali saranno le prossime mosse da seguire. Il loro obiettivo è fare luce sulla vicenda e dare un po’ di pace ai familiari della vittima, che ormai da mesi sperano nella giustizia.

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