25 persone sono state arrestate all’alba di questa mattina perché implicate nelle violente attività della banda del bosco della droga di Varese. I suoi componenti, di cui 24 finiti in carcere (uno è ai domiciliari), sono indagati a vario titolo per tortura, tentata estorsione, rapina, detenzione di armi, spaccio e omicidio per aver partecipato all’uccisione del giovane marocchino trovato morto nel maggio del 2022. Le indagini che hanno portato al maxi-arresto partirono subito dopo il ritrovamento del cadavere.

Sgominata la banda del bosco della droga di Varese: 25 arresti

Gli arresti di questa mattina, eseguiti dalla polizia di Varese nelle province di Milano, Lodi, Pavia, Cremona, Novara e Piacenza, sono stati resi possibili grazie ad una vasta operazione partita nel maggio del 2022, a pochi giorni dal ritrovamento del cadavere di un 24enne di origini marocchine nel Comune di Lonate Pozzolo.

Nel corso delle indagini riguardanti il suo omicidio (il corpo era stato abbandonato, semi-nudo, con evidenti segni di violenza), gli inquirenti avevano infatti scoperto che il giovane aveva fatto parte di una banda di spacciatori – quasi tutti di nazionalità marocchina – particolarmente attiva nel bosco della droga varesino e facente capo a due fratelli milanesi che gestiscono diverse piazze di spaccio.

Stando a quanto ricostruito, la sua uccisione sarebbe da rinviare a un “regolamento di conti“: il 24enne sarebbe stato ucciso, dopo essere stato torturato e percosso, perché, qualche settimana prima, avrebbe sottratto al gruppo droga e soldi per un valore di circa 30mila euro, cercando di mettersi in proprio e crearsi un giro. Una volta scoperto, era stato “convocato” dal capo della banda.

Un vero e proprio agguato: al suo arrivo era stato condotto nel bosco e seviziato con vari strumenti, fino alla morte. Poi, in un momento successivo, il suo corpo era stato spostato nella piazzola di sosta a margine della SS336 dove era stato ritrovato la mattina successiva da alcuni passanti. A portare gli inquirenti dai resposanbili sarebbe stata anche una segnalazione della compagna del “capo”.

Prima che il ragazzo venisse ucciso, la donna si sarebbe messa in contatto con il padre, chiedendogli di procurarsi la somma che il figlio gli doveva in cambio della sua liberazione. L’uomo, che risiede in Spagna, avrebbe acconsentito, chiedendo di lasciare libero il figlio mentre lui si procurava il denaro richiesto. Alla fine, però, la morte del ragazzo è sopraggiunta prima che potesse fare qualunque cosa. Dopodiché il capo sarebbe fuggito all’estero, lasciando gli affari nelle mani di alcuni uomini fidati e del fratello.

Lo spaccio, le armi e la violenza

Le indagini riguardanti l’omicidio hanno permesso di smascherare la banda, facendo luce sulla sua organizzazione dello spaccio all’interno del boschetto. Secondo quanto riporta l’Agi, tutto sarebbe gestito da due persone: il “capo posto”, colui che riceve le chiamate dai clienti, prepara le dosi e gestisce i soldi, e un marocchino da poco arrivato in Italia, che in genere non conosce la lingua, addetto alla consegna.

A loro disposizione avrebbero appartamenti affittati da prestanome e autovetture, spesso noleggiate per pochi giorni a nomi di terzi, ma anche armi, sia bianche che da fuoco, da utilizzare per rappresaglie in caso di scontri con gruppi rivali, come accaduto più volte, negli ultimi mesi. Si tratterebbe perlopiù di persone irregolari sul territorio italiano, senza fissa dimora e con precedenti in materia di stupefacenti.

Il capo, in particolare, avrebbe alle spalle tre denunce per sequestro di persona e lesioni commesse nell’ambito dello spaccio. Dopo gli arresti, 24 sono stati condotti in carcere. Uno, invece, si troverebbe agli arresti domiciliari.

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