Chi era Bruno Caccia e perché è diventato un bersaglio della ‘ndrangheta? Dal suo omicidio, avvenuto nella tarda serata del 26 giugno 1983 a Torino – dove Caccia aveva da poco ottenuto l’incarico di procuratore capo della Repubblica -, sono passati quarant’anni.

Quando avevo dieci anni mia mamma mia ha chiamato e mi ha detto: ‘Adesso ti spiego com’è morto il nonno’ e mi ha spiegato che era stato ucciso dalla mafia per il lavoro che faceva. Chiaramente è stato uno shock. Me lo ha detto perché stavano per esserci le celebrazioni per il decennale della sua morte e dovevo essere preparato a questo evento. Da lì in poi sono stato a tutte le commemorazioni […] e ho conosciuto il suo lato professionale, lavorativo, che ancora non mi era stato raccontato. Non vedo mio nonno come un eroe, lo vedo come una persona che ha fatto il suo dovere fino in fondo,

ha raccontato ai microfoni della Rai, in occasione dell’anniversario di quest’anno, il nipote, Lorenzo Fracastoro, che quando è morto aveva solo pochi mesi, mettendo in evidenza il fatto che, sulla vicenda, non sia stata fatta ancora pienamente giustizia.

Chi era Bruno Caccia, il magistrato ucciso dalla ‘ndrangheta quarant’anni fa

Nato a Cuneo il 16 novembre del 1917, Caccia iniziò a farsi strada nella magistratura fin da giovanissimo, sulle orme di quanto avevano fatto i suoi famigliari, tra cui il padre Giuseppe, procuratore generale della Cassazione. Dopo le due lauree in giurisprudenza e scienze politiche, passò l’apposito concorso per esercitare la professione. Era il 1941 quando, all’età di 24 anni, prese servizio presso la procura della Repubblica di Torino, all’inizio come uditore.

Ne fu eletto procuratore capo nel 1980, dopo anni di onorevole servizio. Nelle sue vesti iniziò ad indagare sugli attentati orchestrati dalle Brigate Rosse e da Prima Linea. Indagini impegnative, che portarono all’arresto di Renato Curcio, Alberto Franceschini e Roberto Sandalo e che, per via del suo impegno, costarono al magistrato la stessa vita. Nella tarda serata del 26 giugno 1983, di ritorno a Torino dopo un fine settimana trascorso in campagna, Caccia fu vittima di un agguato.

Era uscito di casa per la solita passeggiata serale in compagnia del suo cagnolino quando, a pochi passi dalla sua abitazione di via Sommacampagna, venne freddato a colpi di pistola da alcuni uomini a bordo di un’auto.

Le indagini sull’omicidio e ciò che resta da capire

Si puntò subito il dito contro le BR ma, qualche giorno dopo, l’11 luglio, un comunicato ufficiale negò il loro coinvolgimento.

Con la morte di Bruno Caccia noi non c’entriamo – c’era scritto -. Questo è un omicidio a cui purtroppo siamo estranei.

Poco dopo si aprì ufficialmente la pista mafiosa. Il boss del clan dei catanesi Francesco Milano decise infatti di collaborare con la giustizia, aiutando gli inquirenti a risolvere, almeno in parte, il caso. Dichiarò che nell’omicidio di Caccia fosse coinvolto un certo Domenico Belfiore, capo della ‘ndrangheta di Torino, anch’egli in galera. Dopo anni di indagini, nel 2015 la Dda ha tratto in arresto per la vicenda l’autore materiale del delitto, Rocco Schirripa, condannato all’ergastolo in primo grado, in Appello e in Cassazione.

L’esatto movente non è mai stato ricostruito (anche se, ascoltato dagli inquirenti, Belfiore – che avrebbe ingaggiato Schirripa – disse che “con il procuratore Caccia non ci si poteva parlare”). Si trattava, in sostanza, di un uomo “professionalmente scomodo”, ucciso per via del suo lavoro. Di recente gli atti dell’inchiesta riguardante il suo omicidio hanno permesso di riaprire il caso di Cristina Mazzotti, la 18enne morta in provincia di Como dopo essere stata sequestrata e rinchiusa per giorni in una buca scavata nel terreno.