Ci sono degli indagati per l’omicidio del professor Giorgio Dino Montanari, il primario di Modena ucciso a colpi di pistola la sera dell’8 gennaio 1981. A 42 anni dai fatti si avvicina, quindi, la risoluzione del caso. Si indaga, in particolare, sulle dichiarazioni rilasciate da alcune persone legate al mondo sanitario. Una delle ipotesi è che il medico possa essere stato ucciso per volere di coloro che, all’interno del Policlinico da lui diretto, non erano a favore delle sue opinioni sull’aborto e lo consideravano di intralcio al loro lavoro, come più volte sua moglie ha messo in luce.

Omicidio di Giorgio Montanari a Modena: la svolta a 42 anni dai fatti

La notizia della riapertura delle indagini riguardanti l’omicidio di Modena, riportata dal Resto del Carlino, lascia ben sperare i familiari di Giorgio Dino Montanari, che da tempo chiedevano agli inquirenti di tornare sul caso. Sulla morte del primario – direttore della clinica ostetrico-ginecologica del Policlino di Modena -, avvenuta nell’inverno del 1981, non si è mai riusciti, in effetti, a fare chiarezza.

La svolta è arrivata a 42 anni dai fatti. Stando alle ultime notizie, delle persone sarebbero state iscritte nel registro degli indagati. Si tratta, con tutta probabilità, di soggetti che hanno a che fare con il mondo sanitario e quindi legate, professionalmente, alla vittima. Una delle ipotesi è che il professore possa essere stato ucciso per le sue opinioni sull’aborto.

In Italia erano gli anni delle battaglie sociali. Dopo l’emanazione della legge Fortuna, con cui, nel 1978, si introduceva l’interruzione volontaria di gravidanza, i cittadini si dividevano tra favorevoli e contrari. Montanari aveva deciso di lasciare ai suoi colleghi libertà di coscienza: una scelta avanguardista, che tra i corridoi dell’ospedale aveva provocato, però, malcontenti e attriti, esponendolo.

Ancor prima che mio marito venisse ucciso già conoscevo le dinamiche della clinica e sapevo quanto lui fosse osteggiato da molti dei colleghi – aveva raccontato la moglie, Anna Ponti, al Gazzettino, a 40 anni dalla sua morte -. Era scomodo. Difendeva i diritti delle donne e tanti all’epoca si sentivano ostacolati dalle sue posizioni moderne e progessiste. Era d’intralcio e ingombrante per le partite di potere che si giocavano in clinica. Andava tolto di mezzo, e così è successo.

Lei e sua figlia, Silvia, morta di tumore qualche anno fa, non si sono mai arrese. E, fin dall’inizio, sostengono che a colpire l’uomo con sette colpi d’arma da fuoco mentre si trovava a bordo del suo Maggiolino sia stato qualcuno che lo conosceva. L’unica testimone, la donna al volante dell’auto tamponata dalla vettura del primario dopo l’aggressione, non è mai riuscita a fornire un identikit dell’assassino. Lo avrebbe visto solo allontanarsi, nell’ombra, a fatti avvenuti.

I nuovi dettagli

Dopo aver ascoltato i racconti di “persone informate dei fatti”, gli inquirenti starebbero ora svolgendo nuovi accertamenti. Nel 2020, prima che le indagini venissero richiuse, dopo essere state riaperte (la prima archiviazione risale al 1991), coloro che lavoravano al caso avevano rinvenuto una pistola molto simile a quella utilizzata per uccidere il primario, ipotizzando che potesse condurli all’assassino.

La sua identità, invece, non è mai stata svelata. Nonostante gli sforzi.

Mio marito era uno scienziato ed è morto ammazzato a cinquant’anni. Io ne ho 90 – aveva ribadito la moglie -, ma sono ancora intenzionata a inchiodare il colpevole. Quantomeno il caso non deve, non può, essere archiviato. Tanto più se gli spunti investigativi non mancano.

La speranza è che questa possa essere la volta buona e che Giorgio Montanari e la sua famiglia possano ottenere, nonostante i tanti anni trascorsi, la giustizia che la storia che li ha coinvolti merita.

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