In Europa, l’Italia si distingue, purtroppo in negativo, per un marcato problema di disparità di genere nel mondo del lavoro. L’analisi di Bankitalia sul gender gap nel suo recente rapporto “Le donne, il lavoro, la crescita economica” rivela un panorama preoccupante che mette in evidenza la necessità di un cambiamento radicale, sia a livello occupazionale, sia a livello di trattamento salariale e di opportunità.
Gender gap nel mondo del lavoro: Italia indietro in Europa
L’Italia si trova all’ultimo posto per quanto riguarda la partecipazione femminile nel mercato del lavoro all’interno dell’Unione Europea. Un misero 51,1% di donne lavoratrici rispetto ad un 69% di uomini nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 64 anni.
Il divario salariale tra i generi è evidente e persistente. Le donne in Italia guadagnano l’11% in meno rispetto ai colleghi maschi. Questa disparità salariale diventa ancora più pronunciata con la maternità e l’evoluzione della carriera.
Lavoro precario e part time
Le donne italiane sono spesso costrette a lavori temporanei e part-time, con il 18% di donne in lavori precari e il 31,7% in part time, rispetto al 16% e 7,7% rispettivamente per gli uomini. Il lavoro part time non è sempre una scelta volontaria, ma spesso una necessità, dovuta alla responsabilità della cura e del sostegno alla famiglia.
Gender gap ancora più esteso nei ruoli di vertice
L’occupazione di ruoli di vertice nelle aziende da parte delle donne è una rarità. Inoltre, le donne tendono a lavorare in settori che offrono compensi mediamente più bassi, limitando ulteriormente la possibilità di guadagni elevati. Solo il 20% delle donne si trova nel top dei redditi.
La scelta degli studi e le conseguenze sul gender gap
Un altro fattore importante che contribuisce al gender gap è la scelta degli studi. Le ragazze italiane tendono a scegliere corsi di laurea meno legati alla scienza, alla tecnologia, all’ingegneria e alla matematica, settori che offrono le aspettative di reddito più alte. Questo nonostante le ragazze ottengano livelli di istruzione più elevati e voti migliori rispetto ai ragazzi.
Il divario nelle pensioni e la “causa” maternità
La disparità di genere si riflette anche nelle pensioni, con i redditi pensionistici delle donne che sono inferiori del 27% rispetto a quelli degli uomini.
La maternità aggrava ulteriormente il divario di genere nel mercato del lavoro. Nei due anni successivi alla nascita del primo figlio, le madri lavoratrici hanno quasi il doppio della probabilità di non avere più un lavoro rispetto alle donne senza figli. Quindici anni dopo il parto, le loro retribuzioni medie sono circa la metà, considerando quelle che hanno potuto mantenere una continuità lavorativa.
La presenza di un figlio, inoltre, rende difficile per molte donne rientrare nel mercato del lavoro, soprattutto a causa delle insufficienti politiche di conciliazione tra vita lavorativa e familiare e della mancanza di servizi di assistenza all’infanzia di qualità e accessibili.
Servono politiche di pari opportunità e misure di supporto
In questo contesto, è fondamentale implementare politiche di pari opportunità e misure di supporto che affrontino efficacemente queste sfide. Ciò può includere l’introduzione di servizi di assistenza all’infanzia più accessibili e di qualità, di incentivi per l’equilibrio tra vita lavorativa e familiare, di iniziative per la promozione della partecipazione delle donne ai settori STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica), e di politiche volte a ridurre il divario retributivo di genere.
Inoltre, potrebbero essere promossi programmi di mentoring e networking specifici per le donne, per sostenere il loro avanzamento di carriera. Al momento, tuttavia, di tutto questo c’è molto poco, soprattutto che abbia un’evoluzione positiva e uno sviluppo migliore. Sono anni che l’Italia corre dietro agli altri Paesi europei nel tentativo di colmare questa disparità di genere, senza però mai riuscirci e restando sempre agli ultimi posti delle classifiche. È evidente però che, raffrontando il contesto italiano con quello degli altri Paesi europei, quanto sta accadendo porta delle conseguenze più vaste anche sull’economia del Paese nel suo complesso.
Questa storia del gender pay gap è una bufala colossale. Si fa una media simile a quella del reddito pro-capite secondo cui il reddito di Berlusconi è lo stesso di quello di un operaio della Fiat.
Non si tiene conto del tipo di professione (ci sarà differenza fra un chirurgo/a e uno psicologo/a).
Non si tiene conto degli straordinari.
E ci volete venire a raccontare che un imprenditore (quello che tira fuori i soldi e cerca sempre di abbassare i costi) preferisce spendere di più assumendo un uomo quando, a parità di rendimento, potrebbe prendere una donna? Ma che idiozia è mai questa?
Non si tiene conto delle indennità di rischio
Non si tenie conto delle indennità di trasferta
Non si tenie conto del part-time (poco importano le ragioni….si discute della differenza di retribuzione).
Ci aspettiamo qualche articoli sul Gender Death Gap…….li si che i dati non mentono!!!!!