Marco Belpoliti, autore di un pezzo che è stato scelto per la Maturità 2023, scrittore, italianista, docente di Critica Letteraria e Letterature Comparate all’Università di Bergamo è intervenuto a Base Luna chiama Terra su Radio Cusano Campus e ha parlato con Lorenzo Capezzuoli Ranchi iniziando dalla “sorpresa” di essere stato scelto per gli esami di maturità 2023 dove la traccia “Elogio dell’attesa nell’era di WhatsApp” è stato fra i più gettonati.
Maturità, Belpoliti: “Sorpreso dalla scelta nell’era del simultaneo”
- Professor Belpoliti, nell’apertura del suo articolo scelto per la Maturità lei scrive: “Non sappiamo più attendere. Tutto è diventato istantaneo, in «tempo reale», come si è cominciato a dire da qualche anno. La parola chiave è: «Simultaneo»”. L’attesa ai tempi di Whatsapp può essere ancora concepita?
Dal 2019 al 2023 c’è stata la pandemia che ci ha messo in attesa, come nelle telefonate: “La preghiamo di attendere”. Anziché passare cinque minuti sono passati parecchi mesi, parecchi anni, quasi due. Quindi l’attesa l’abbiamo conosciuta: all’inizio era quasi spasmodica, terribile, intorno a noi le persone si ammalavano, peggioravano, alcuni venivano ricoverati e persino morivano. Quindi diciamo che l’idea dell’attesa ha fatto capolino. Però c’è un segno diacritico, nella nostra scrittura, che è la parentesi. Ecco, un po’ tutti pensano sia stata una parentesi questa peste che ha decimato milioni di persone. Ma non lo è stata affatto, una parentesi. L’attesa resta ancora una questione importante nella nostra vita. Tutto è ricominciato accelerando, sulle strade, le auto, tutti accelerano ma l’attesa resta ancora lì e resta in attesa.
- E in questo periodo, com’è cambiato il nostro modo di esprimerci, ormai molto più visivo che orale?
C’è sempre stata più gente che guardava piuttosto che gente che leggeva. Parlare, parlano tutti, appena acquisiscono la lingua è irrefrenabile, c’è il desiderio di parlare. Il visivo è un campo performativo stabilmente nella civiltà umana dalle grotte di Lascaux in poi. Quindi direi che semplicemente si è moltiplicato: una volta un uomo nel corso della sua vita vedeva un centinaio di immagini nel corso della sua vita. Ora ne vediamo migliaia ogni giorno, anche solo sui social. Questo resta un dato permanente: la vista è il senso dominante. L’accelerazione è forse in relazione con il senso del vuoto che nessuno di noi tollera. Il vuoto come sosta, come permanenza, come spazio che non è riempito da qualcosa. Noi saturiamo ogni cosa, il grande problema è il tema della morte: che è nella modernità una delle questioni più difficili. Da quando non esistono più i riti sacri, battesimo, esame di maturità, matrimonio attraverso la secolarizzazione abbiamo perso questo orizzonte. I morti non sono più un’orizzonte o una presenza, le persone vengono cremate. Manca lo spazio, e la gente cremata scompare, la gente rimane cenere. È un problema che rimane lì. Sicuramente è una delle grandi questioni della cultura contemporanea.
La sfida del cambiamento, sociale e linguistico
- Ciò che non scompare, evolve. Come la nostra lingua, professore. Ecco, a tal proposito, i nostri dialoghi sono ormai messaggi compulsivi a base di incisi che si concatenano. Il nostro scrivere è cambiato, oltreché la nostra conoscenza della lingua?
Siamo tornati al livello delle scritture pubbliche dell’epoca romana che non conoscevano la punteggiatura. Era l’occhio dell’osservatore che separava le parole, costruiva le frasi, costruiva la sintassi. Siamo tornati a un regime del flusso. Il punto e virgola è stato del tutto eliminato. Da tempo. Ora usiamo i puntini sospensivi. L’emoticon crea l’elemento espressivo, e poi tutte le emozioni che non possono essere contenute nella scrittura che non ha dei modi per dichiarare il tono con cui viene pronunciata una frase. C’è qualcosa di antico e contemporaneo allo stesso tempo. Qualcosa che è in evoluzione; che va indietro, avanti, si modifica. Certo, si diceva che la scrittura era scomparsa, si parlava di una oralità di secondo livello, di ritorno. La prima era quella della comunicazione pre-scrittura. È tornata una oralità di secondo o terzo livello; e questa scrittura non è più simile alla scrittura precedente, dei quaderni di scuola. Però permane, ha sue regole, modalità e complessità espressive. I ragazzi hanno trovato modi di comunicare quelle tonalità affettive od emotive che ci sono nella scrittura e che una volta erano affidate alla decifrazione del lettore.
- Professore gli antichi romani non avevano né smartphone né le emoticon e l’universo che si è aperto con loro. Sono metodi alternativi per esprimere concetti: c’è il rischio di non saper più raccontare le emozioni?
Anche queste c’erano già. Se si pensa ai fumetti, c’era già il suono attraverso una forma. Adesso nessuno scrive più okay, e invece inviano l’emoticon del dito levato. Questa comunicazione non cancella l’altra. Una si sovrappone all’altra. Una predomina, l’altra regredisce. Vanno accumulandosi forme espressive differenti. Poi ci sono quelle più cool, più fighe, giovanili ed espressive. Tutto si è moltiplicato. Le parole hanno una vita come gli esseri umani: nascono, crescono, muoiono e scompaiono. Dato che per loro natura si tratta di un qualcosa con uno stato inerziale: le parole respirano senza respirare, restano lì. Potrebbero riprendersi: su un vecchio vocabolario potremo trovare parole che non esistono più. Questa è anche la nostra fissazione del nuovo. L’accelerazione. Far morire le parole e farne apparire sempre di nuove.
- In conclusione, professor Belpoliti (qui una biografia), e in chiave di Maturità. La nostra lingua è matura da accettare forestierismi o dovremmo essere più intransigenti e puristi come, ad esempio, il francese?
Italo Calvino, negli anni ’80 parlò di peste linguistica. E con questo definiva la perdita di forma, l’incapacità delle parole a descrivere il mondo. Sono diventate sempre più astratte, sempre più visive (come nelle emoticon). Questa per Calvino è una perdita di concretezza. Io non sono spaventato dalla presenza di parole inglesi. Certo, sentendo parlare manager ed ingegneri che si sono formati spesso all’estero, usano espressioni linguistiche inglesi che forse sarebbe il caso di usare quelle italiane. Ma questo fa parte del cool: “Adesso ti dico questa cosa in inglese perché fa parte del cool, è più figo e fa più impressione”. Cancellare le parole inglesi, ricorda il fascismo, che durante il ventennio aveva abolito le forme tradizionali inglesi. La pulizia linguistica mi ricorda un altro tipo di pulizia meno nobile. Bisogna lasciare anche una libertà all’espressione. Esiste il mercato: delle merci, del denaro, e anche linguistico. Che vinca il migliore.